KING CRIMSON


King Crimson: A Young Person’s Guide 2.0
Director's Cut #8 (ottobre 2017) • 130 pagine b/n • 10,00 euro

Caro lettore, il Re Cremisi è un ragazzo sui cinquanta ben portati: di sangue blu e con molta Inghilterra, un po’ di America, Africa e Indonesia nel DNA. Il Rock gli deve incalcolabili tributi e i sudditi lo amano senza riserve, fin dai primi giorni di regno. Come un Federico II, ha viaggiato tanto nel mondo, nel tempo e nelle dimensioni, portandosi dietro segreti che a volte condivide, a volte no. Il protocollo della vita a corte è rigido: questo manualetto ti verrà comodo per capire come fare, se dovessi mai incontrare il Re in giro per un mondo, che sia il tuo, il suo, o altri pianeti. Il Re Cremisi ha sempre avuto un magio, Sir Robert Fripp, della contea del Dorset, e il primo ad avere l’investitura di narrare ai profani il suo Signore è stato proprio lui. Si cavò allora dagli impicci, pubblicando una “Young Person’s Guide To King Crimson”: il Re Cremisi visto attraverso gli occhi di un giovane e in forma di guida. Il manualetto che forse stai per sfogliare prende quell’autorità a modello, ma nel 2017: dunque “A Young Person’s Guide 2.0”. Dentro ci troverai un paio di riflessioni su musiche e testi e poi storie, aneddoti, curiosità e qualche chiave di lettura diventata accessibile solo col passare degli anni e delle stagioni. Visto che il mito c’è da sempre, ma sempre si rinnova.

Piergiorgio Pardo (Cosenza, 1967) vive fra young persons come docente di lettere e latino. È musicista e autore, diplomato in canto jazz e conduttore radiofonico. Ha scritto numerosi saggi e pubblicazioni, fra cui Le controculture giovanili (Xenia 1997), “Jazz e musica leggera moderna: appunti per lo studio di un dialogo” in Il Jazz fra passato e futuro (a cura di Maurizio Franco) (LIM, 2001), Le Video Generation (Xenia, 2003), Il Cyberpunk (Xenia, 2005), Conoscere le controculture: Avanguardie di Un Mondo Alternativo (XS, 2011). Ha contribuito a The Desert Island Records (Tuttle Edizioni, 2009). Scrive per Blow Up dal 2004.

[di seguito un estratto dal capitolo “L'alchimista Fripp”]

“Fripp ha chiarito più volte la natura eminentemente progettuale e laboratoriale dei King Crimson: li ha proprio definiti “un modo di fare le cose”. Fare. Lo si diceva qualche pagina sopra: c’è un momento propedeutico in cui Fripp immagina a occhi chiusi gli ingredienti dell’alchimia che dovrà venirsi a creare e uno successivo in cui ciò che è potenziale diventa atto, creazione, in una parola poesia, ove si lasci al termine la sua etimologia greca, che lo ricollega al verbo ποιεῖν: “fare”. Ogni incarnazione dei King Crimson ha la sua poesia, unica e peculiare, e ogni volta cambia il modo in cui il Re Cremisi parla al mondo, per atteggiamento, grammatiche, visione della realtà: musicale e non. Né sarà da sottovalutare il lato umano. Nelle diverse incarnazioni dei King Crimson sono passati molti amici di Fripp, gente di Bournemouth, conoscenze degli anni del college, frequentazioni occasionali come quella con Bruford, o intense, come quelle con Gordon Haskell e con Greg Lake. A questi contatti si sono aggiunte, man mano che il progetto acquisiva consistenza e ampiezza, persone coinvolte in ambienti musicali caratterizzati da relazioni virtuose, come Boz Burrell, o, con la svolta americana, Adrian Belew, uomo reduce da lunghe militanze al seguito di Frank Zappa e David Bowie, pupillo di Brian Eno e ben noto a New York fra gli addetti ai lavori, tanto che lui e Fripp si incrociarono in un classico happening per musicisti come il concerto di Steve Reich. E via così, non ci serve ricostruire tutti gli incontri, le occasioni pubbliche e gli “Harry ti presento Sally”: questo è sempre stato, più o meno, il copione. Fripp ha la visione premonitrice dell’alchimia creativa, sonora ed umana che dovrà venirsi a creare e dal momento in cui i protagonisti di ogni incarnazione si ritrovano uniti nello spazio di lavoro, tutto prende a fluire. Normale dunque che ciascuno dei musicisti che hanno fatto parte delle singole incarnazioni del Re Cremisi, abbia contribuito a caratterizzarne fortemente l’identità. Questa è stata l’incommensurabile genialità di Fripp: tirare fuori da ognuno dei musicisti che hanno suonato con lui l’apporto più funzionale all’identità della formazione in campo, ma anche il più profondo livello di contatto con la propria arte e la propria ispirazione. È il caso ora, senza eccessivi timori, di permettersi un’affermazione importante: nessuno dei musicisti che hanno nel tempo suonato con i King Crimson ha, prima o dopo la propria militanza nel progetto, toccato la medesima qualità artistica in nessun altro contesto. A fianco di Fripp è stata più intensa, quasi mistica, la consapevolezza di ciascuno riguardo alla propria espressività e agli strumenti per comunicarla, più motivato ed essenziale il rapporto con la musica, più sostanziale l’intesa con i propri compagni di viaggio. Si sarebbe tentati di definire Fripp una sorta di regista, ma equivarrebbe a conferire una coloritura troppo intellettualistica e razionale al ruolo del maestro all’interno del progetto. Fripp è qualcosa di più e di diverso: è un alchimista. Da subito i King Crimson sono combinazione di energie ed evoluzione/rivoluzione delle forme. Il tutto quasi al di là della stessa volontà degli attori coinvolti, che appaiono insieme consapevoli e turbati dalla prodigiosità della loro esperienza: «C’era qualcosa di “completamente altro” che circondava questo gruppo. Io non credo che saremmo passati da una disonorevole incapacità al successo musicale commerciale e globale in nove mesi, senza che qualcosa al di fuori della band ci desse un aiuto. Noi qualche volta la chiamavamo la “Fata Buona” e avevamo l’impressione che per una volta non potessimo sbagliare, che qualcosa di speciale stesse per accadere. E accadeva. Durante alcuni concerti ebbi esperienze extra-sensoriali riguardanti il pubblico, quello che ci stava per succedere, chi era entrato nel locale, chi stava ascoltando, esperienze cioè che fino ad allora non avevo mai avuto» Così si legge nel libretto del cofanetto “Epitaph”, a firma di Fripp. E con ricorrenza anche lessicale Sinfield a sua volta sostiene sul suo sito che «era come se la band avesse avuto “una Fata Buona”. Non avremmo potuto fare nulla di sbagliato». Inoltre, citando dal saggio di Eric Tamm, “Robert Fripp: From Crimson King to Crafty Master” (Eric Tamm Copyright, on line, 1990): «Sarebbero accadute cose sorprendenti – intendo telepatia, energia, cose di cui prima con la musica non avevo mai avuto esperienza. La mia sensazione riguardo a questo era che la musica giungesse da un’altra parte e “suonasse” questo gruppo di quattro giovani preoccupati e che non sapevano realmente cosa stessero facendo» Michael Giles, ancora nel booklet del cofanetto “Epitaph” ha parole simili: «Sentivo, e penso che Robert sarebbe d’accordo, che la musica “ci stava suonando”, che eravamo entrati in un’area di coscienza dove noi eravamo stati usati come strumenti e tutto quello che dovevamo fare era di affidarci al processo di ricezione e di trasmissione» E arriviamo così al punto. La “young person” potrebbe di fronte ai King Crimson essere confusa dai dilemmi e farsi fuorviare dalla complessa architettura intellettuale che si è stratificata su di loro. Basterà invece considerarli “un modo di fare le cose”, costantemente assistito da una “Fata Buona”, che ogni volta ha regalato all’alchimia fra le persone il dono di una innovazione, di una scoperta, sempre diverse e che è scomparsa, forse per non riapparire, solo quando ha capito che non “il modo di fare le cose”, ma il tessuto sociale che avrebbe poi dovuto gustarne i manufatti, era cambiato, aveva smesso di ascoltare, di essere pronto. [...]"



Prezzo: 10 €

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