Fire!
Fire!
di Stefano I. Bianchi

[foto di Johan Dahlroth]

LE RADICI sono importanti. Ovviamente, perché è solo avendole che è possibile tradirle. E i Fire! non solo le tradiscono ma le dimenticano completamente per dar vita a qualcosa che non ha termini di paragone nella musica di oggi: hanno le movenze del jazz ma non mostrano mai le caratteristiche più proprie del genere (assolo, dialoghi, swing); le loro dinamiche ritmiche fanno pensare spesso al kraut rock ma sarebbe difficile e limitativo inquadrarli accanto a Can o Faust o Neu! o Kraftwerk o Amon Duul; spesso il suono che producono abbraccia il rock e il noise ma non è certo lì che puntano. L’effetto puramente epidermico dell’ascolto dei loro dischi può ricordare una forma di psichedelia notturna e vellutata, muscolare e sgusciante, elegante ma mai troppo sottile nei dettagli: e nessuna delle caratteristiche arriva in eredità nella musica dei Fire! dalle esperienze precedenti dei tre musicisti, anzi per molti e differenti versi ne è la complessiva negazione, ed è esattamente qui che si gioca l’originalità del combo.
Di Mats Gustafsson (sax, Fender Rhodes e live electronics) è impossibile riassumere la carriera in poche battute. Sassofonista tra i più in vista negli ultimi vent’anni del jazz meno tradizionalista, ha suonato e collaborato con chiunque. Polmoni di ferro, inventiva robusta e disponibilità completa a misurarsi in ogni ambito sono le sue caratteristiche più evidenti: Mats non si può considerare un innovatore se pensiamo agli ambiti strettamente jazzistici ma lo è certamente se allarghiamo il perimetro alle contaminazioni a cui ha dato fiato, dal rock estremo (in ogni senso) al ‘pop’. Proprio questo mese Gustafsson torna con un nuovo disco dei The Thing (vedi recensioni), formazione esplicitamente pensata come anello di congiunzione tra rock e jazz, ma è nei Fire! che questa copula funziona al meglio e suona più distante e originale rispetto alla sua naturale vena jazz. […]


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