1917: La Rivoluzione e i poeti morti
1917: La Rivoluzione e i poeti morti
di Maurizio Bianchini

[nell'immagine: Alexander Rodchenko - Ragazza con una Leica, 1934]

Io vi prevengo che vivo
per l’ultima volta.
Né come rondine, né come acero,
né come giunco, né come stella,
né come acqua sorgiva,
né come suono di campane
turberò la gente,
e non visiterò i sogni altrui
con un gemito insaziato.

Anna Achmatova

1.
Nel consesso di oblio preventivo da cui fu presa l’Europa della Belle Epoque a ridosso della Prima Guerra Mondiale, solo la Russia zarista appare immune da quella euforia malata, forse per aver sperimentato già, nel 1904-5, un anticipo di guerra contro i giapponesi, finita male, e una rivoluzione soffocata nel sangue. Pietroburgo di Andrej Belyj, uscito nel ’12, fissa il ‘momento della verità, l'‘ammonizione degli eventi’, in un romanzo che, ha scritto Angelo Ripellino, dilata l’‘ammiccante teatro di stregherie di Gogol e la magica arena di inaudite avventure e accadimenti inverosimili’ in una livida dismisura già espressionista ‘proiettata sullo sfondo caliginoso della capitale del Nord’. Ma l’eco dei nuovi autori non aveva toccato ancora l’Europa. Dopo l’epica di Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, era come se la letteratura russa fosse stata cancellata dall’agenda occidentale, presa solo dai rivolgimenti politici e dalle alterne vicende della Repubblica dei Soviet.
Pochi anni dopo l’uscita di quel romanzo profetico, stavolta di concerto con le altre potenze europee, la Russia conoscerà un’altra guerra, finita peggio della precedente, e, da sola, un’altra rivoluzione, che ne era figlia e andò invece, tecnicamente parlando, a buon fine. Le sue conquiste e i suoi costi sono materia ancora troppo calda per consentire una visione condivisa, ma da qualunque punto di vista si voglia vederne la storia, un fatto appare inoppugnabile: “nessuna grande letteratura ha prodotto in dieci anni – questi favolosi anni Venti figli degli anni Dieci – una dozzina simile di geni, quasi nessuno dei quali morto nel suo letto’, come ha sintetizzato Serena Vitale. Due generazioni di artisti e letterati cancellate, dalle tante morti possibile, inclusi l’esilio, il gulag, il silenzio. Non che mancassero, tra i bolscevichi, uomini di cultura, da Lunačiarkij a Bucharin e Trockij (cui si deve una stroncatura, proprio di Pietroburgo, in cui è contenuta già la dottrina del ‘realismo socialista’), ma per i ‘manovali di anime’, gli apparatchik che avrebbero voluto insegnare a scrivere a un Blok o a una Cvetaeva, romanzi e poemi dovevano cantare le lodi di altiforni, reti elettriche, piani quinquennali. Sorprende ancora, a distanza di tanto tempo, il disinteresse in cui quel genocidio culturale si è consumato, con l’intellighenzia europea tutta presa dai destini magnifici e progressivi della gloriosa Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. E i Mandel’štam, i Pasternak, le Achmatova, i Kandinsky e gli Shostakovič (e segue una lunga lista)? Vittime collaterali. Il paradiso in terra è impresa che non si dà senza milioni di inferni individuali, di fronte ai quali cosa sono dodici poeti morti? (Un Sartre eccitato dal sangue delle vittime lo ricorda a Camus ancora negli anni Cinquanta …)

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