20 Essentials: Post-Rock 1993-1999
20 Essentials: Post-Rock 1993-1999
di Stefano I. Bianchi con Paolo Bertoni, Massimiliano Busti e Roberto Municchi

[nell’immagine: Tortoise 1994, foto di James Warden]

A UN QUINDICENNIO di distanza dai suoi ultimi vagiti creativi è forse arrivato il momento di storicizzare, tirandone le somme, quella galassia informe che negli anni ’90 venne definita post-rock. I cui reflui palpitano ancora a distanza di tanto tempo, essendo stata l’ultima tendenza ‘di massa’ ad aver inciso in profondità nella carne viva della psicologia e della fantasia critica – s’intenda per massa l’insieme delle multiformi schiere di ascoltatori della musica sommariamente alternative quando ancora il mondo era uno solo e comunicava tra sé e sé e non mille che non comunicano più tra loro.
Non sono pochi, per esempio, quelli che hanno rilevato paralleli tra questo genere-nongenere e l’epoca della new wave: la proliferazione di suoni e gruppi, la spesso notevole diversificazione che c’era tra di essi, le brillanti novità portate nell’universo underground, il can can mediale. Ferma restando la distanza qualitativa dei risultati artistici ottenuti nell’uno e nell’altro periodo (che non è il caso qui di indagare se non rimarcandola), si tratta di un parallelo affascinante e per certi versi plausibile. Ma rispetto alla localizzazione e alla vicinanza estetica che molte band new wave potevano complessivamente vantare, nell’era del post-rock si finì per definire in tal modo gruppi e musiche di tale reciproca estraneità che qualunque oggetto non meglio inquadrabile secondo gli schemi consolidati divenne post-rock, generando in tal modo una confusione che ancora oggi non accenna a diminuire (si veda, per fare l’esempio più notevole, quanto scrive Wikipedia a proposito). […]

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