Alexander Robotnick
Alexander Robotnick
di Christian Zingales

E improvvisamente arrivò un lunare fiorentino e le cose cambiarono di botto. Era il 1983 e come caduto dallo spazio si materializzò il pop del futuro. Si chiamava Problèmes D’Amour ed era uno strano cubo di Rubik parte chanson francese con vibes retrò come d’uso nella wave d’epoca, un pizzico di Tom Tom Club nel cosmetico chant, parti uguali di electro e italo-disco, e una allora marziana Roland 303 a pulsare una incandescente linea di basso, tra i primissimi il lunare ad usare la diabolica macchinetta, ben prima del boom acid-house. Visione sonica e ironia, ma con un tocco che trascendeva la somma degli elementi, per un singolo che inaugurava la Fuzz Dance, sublabel della Materiali Sonori, e presto veniva preso in licenza per il mondo intero dalla americana Sire, diventando una pietra miliare, venerata come un UFO tra Chicago e Detroit dai futuri pionieri di house e techno. Lo spilungone viola (che ai gigliati nello stesso anno dedicò anche il picture Forza Viola!) era Maurizio Dami, studi musicali e una fresca fascinazione per computer ed elettronica, e il suo nome di battaglia, Alexander Robotnick, traslava in russo Alessandro il Lavoratore. Si capì il suo campo d’azione l’anno dopo, nell’84, nella liason cyberfumettistica con i frigidairiani Giovanotti Mondani Meccanici, di cui fu colonna musicale e partner in crime (vedi intervista sul numero scorso), completando, con sonorizzazioni di opere teatrali, video ed eventi multimediali, la sua transizione verso una centralità nel postmodernismo Eighties. Con Love Supreme, take coltraniano sul secondo album per i GMM, anticipò di fatto quella che diventerà la struttura percussiva del tipico pezzo house da club. Il primo album per loro, “GMM Suite”, sta per essere ristampato da Mannequin, mentre il caleidoscopico primo album robotnicko, “Ce N’Est Q’Un Début”, che conteneva altri ultracorpi come Computer Sourire e Dance Boy Dance, è appena arrivato alla quarta ristampa sulla americana Medical. Dopo la fase da pilastro ’80 ne seguì una seconda, nei ’90, più riflessiva, l’amore per l’India a generare tutta una serie di contaminazioni etniche declinate in progetti come Govinda, Masala, Alkemya, The Third Planet, e poi una terza, agli inizi del 2000, quando, con l’esplosione di electroclash, electro-house e tutti i filoni di recupero di italo-disco e synth-wave, il supereroe Robotnick venne richiamato da una schiera di discepoli, e quindi il ritorno a una produzione prolificissima tra album, singoli, remix e collaborazioni, il lancio della label personale Hot Elephant, l’inizio di un percorso ventennale di DJ set e live, raggiungendo in questo la sintesi definitiva di tutte le suggestioni elettroniche che da sempre abitano la mente del signor Dami. Che qui fa il focus sulle sue pirotecniche traiettorie. […]

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