Arab Strap
Arab Strap
di Pierluigi Lucadei

Malcolm Middleton una volta ha detto che gli Arab Strap facevano musica pop per un pubblico che odia la musica pop. Una definizione ad effetto ma poco corrispondente a ciò che gli Arab Strap sono stati per una decade, ovvero, al netto di alcune melodie orecchiabili e di un paio di ritornelli cantabili, una band lontana anni luce da ciò che può definirsi mainstream. Turbolenti e depressi, Aidan Moffat e Malcolm Middleton hanno iniziato a fare musica insieme nel 1995, in un momento storico in cui, esplosa la bolla britpop, parte del pubblico desiderava qualcosa di più profondo, di più organico, e a Glasgow molti artisti avevano preso a suonare nella direzione di un sentire sconosciuto al music business dell’epoca.
Glasgow era quel tipo di città operaia in cui la vita ruotava attorno al pub e allo stadio (una delle più accese rivalità calcistiche d’Oltremanica è proprio quella che chiamano Old Firm, il derby più antico del mondo, tra i protestanti Rangers e i cattolici del Celtic). In contesti del genere capita non di rado che la musica riesca ad essere la valvola di sfogo ideale e l’opportunità per salvarsi da un destino infame. E così a metà anni novanta si respirava un’aria elettrizzante. In un periodo ancora caratterizzato da scene cittadine (quelle di Bristol, Manchester e, soprattutto, Seattle erano di pochi anni prima), a Glasgow stava succedendo qualcosa di straordinario. Ragazzi nati e cresciuti a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro stavano facendo musica meravigliosa e iniziavano ad avere buoni riscontri, anche grazie all’attività di alcune intraprendenti label (la Chemikal Underground su tutte) e all’interessamento dei nomi che contano (John Peel, Steve Lamacq). Delgados, Mogwai, Belle And Sebastian, Arab Strap facevano parlare di sé con una proposta musicale capace, nel migliore dei casi, di anticipare i tempi e, nel peggiore, di percorrerli con piena consapevolezza del proprio disegno artistico. […]

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