Bob Dylan - 80 anni
Bob Dylan - 80 anni
di Riccardo Bertoncelli

Questo mese Dylan festeggia gli ottant’anni, e saranno tributi e ricordi, auguri e scongiuri. Io voglio celebrarlo infilandogli un dito nell’occhio, così, per il gusto di fare il guastafeste (che poi è uno dei significati neanche tanto segreti della parola “Dylan”), rievocando un increscioso episodio della sua vita.
Il mio dito muove da lontano, dalla vigilia di un altro compleanno, quello dei trenta, quando fuori dall’abitazione del già Venerabile (New York, 94 Mac Dougal Street) si riunirono alcune decine di appassionati, tutti divorati da sacro fuoco ma non proprio tutti saldi di mente. Cantavano e berciavano quegli ossessi, ostentando pin colorati del Dylan Liberation Front con la scritta “Free Bob Dylan”, animati dal nobile intento di salvare dalla perdizione quel ragazzo ormai sulla linea d’ombra dell’età adulta che da giovane aveva stupito il mondo con prediche infuocate contro la guerra, la corruzione, l’ipocrisia ma aveva poi cambiato rotta verso una più serena idea di parole/musica. Il ragazzo quel giorno non era in casa, a dire il vero non c’era quasi mai, e non per niente. Si sentiva nel mirino, braccato, da quei fanatici e da altri ancora, “sfondacancelli, spioni, violatori di domicilio, demagoghi”, che avevano scoperto il suo indirizzo così come lo avevano scoperto anni prima a Woodstock, dove l’ingenuo D aveva creduto di far perdere le proprie tracce uscendo fuori città. Sapevano dove trovarlo quegli invasati, e lo tormentavano con le più assurde accuse e/o richieste.
Lo sgangherato “esercito della salvezza dylaniana” era guidato dal Grande Capo, Alan Jules Weberman, uno dei primi se non il primo in assoluto a fregiarsi del titolo di “dylanologo”. Ventisei anni, una vita di studi falliti e lavoretti, Weberman si era interessato presto a Dylan e in breve quell’amore era diventato ossessione. Ascolti ripetuti dei suoi dischi con l’aiuto di additivi vari lo avevano portato alla convinzione che esistesse un originale “codice Da Vinci” dietro cui Bobby nascondeva i veri pensieri, che il molto perspicace AJ era riuscito un po’ per volta a decrittare partendo da alcune parole-chiave. Una lunga intervista di Gordon Friesen per la rivista Broadside, nell’estate 1968, diede a Weberman la prima notorietà. Broadside era la bibbia del folk ortodosso su cui il giovane Dylan aveva pubblicato alcuni dei suoi primi spartiti e, anche se un po’ di affetto era rimasto, la redazione non aveva mai elaborato il lutto per il traumatico salto di Bobby oltre le topic songs e la musica folk, fin dai tempi del famoso scandalo di Newport. L’idea di un Dylan “traditore” allignava presso quel circolo, ed ecco un fan di provata fede che poteva rilanciare il dibattito. […]

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