Cate Le Bon
Cate Le Bon
di Stefano I. Bianchi

[nell'immagine: Cate Le Bon, foto di Ivana Klickovich]

Nell’immaginario dell’inglese medio il Galles è una terra di montanari, allevatori di bestiame ed (ex) minatori mediamente più poveri della media nazionale ma molto orgogliosi delle proprie radici (le tradizioni, la lingua, la musica), politicamente tranquilli – almeno se paragonati agli agitati scozzesi – e tutto sommato orgogliosi di far parte del Regno Unito. Insomma, nell’immaginario dell’inglese medio i gallesi sono i classici contadinotti bravi, poveri, folkloristici e abbastanza insignificanti.
Questo per introdurre Cate Le Bon e capire con chi abbiamo a che fare. La ragazza per l’appunto è gallese e nasce Cate Timothy (grazie a Dio quindi nessuna parentela con Simon) il 4 marzo 1983 a Penboyr, minuscolo villaggio di 70 abitanti (!) nella contea di Carmanthenshire, Galles sud-occidentale. Dice lei che sin da piccola vuol fare la musicista, o meglio la cantante perché ha una voce che non passa inosservata, magari non bella in senso classico ma molto incisiva. A partire dai primi anni ’00, trasferitasi a Cardiff, inizia a collaborare come corista e vocalist con Richard James, Matt Davies e infine Gruff Rhys dei Super Furry Animals, che nel 2007 la vuole come spalla nel suo tour solista e poi nel progetto Neon Neon. Nello stesso anno, assunto il cognome d’arte di Le Bon, Cate esordisce col singolo digitale No One Can Drag Me Down / Disappear, dopodiché nel 2008 arriva il CDEP Edrych yn Llygaid Ceffyl Benthyg, cantato in gallese, tra i cui collaboratori le cronache d’epoca indicano Megan Childs dei Gorky’s Zygotic Mynci (violino) e John Thomas dei Super Furry Animals (pedal steel). “A dire il vero non ricordo bene chi ci suonava dentro”, mi dice invece la candida Cate contattata via email. “Ricordo però che io suonavo la batteria in maniera non esattamente memorabile. Probabilmente c’erano Huw Evans, Stephen Black (aka Sweet Baboo), Sion Glyn e Andy Votel, ospite alla voce nel suo miglior gallese. Non è un ascolto facile…”. Smemorata e troppo severa, Cate, dacché l’ascolto non è così impervio. […]

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