E COSÌ, a cinquant’anni, ho aperto con mia moglie un ristorante. I motivi che mi spinsero a farlo furono vari (così vari, in effetti, da cambiare con gli stati d’animo e le pieghe dei ricordi). Ma di un paio la memoria mi consegna un’immagine chiara. Il primo fu che non ne potevo più di scrivere articoli, lavorare pagato sempre meno (che era comunque sempre troppo) in televisione e vivere nella gabbia di tre milioni di matti chiamata Roma. Fatti miei, in fondo. Il secondo che ero convinto di entrare nella next best thing e invece mi ero solo assicurato un posto di prima fila per il suo funerale. La cucina è morta, rispondo sempre a quelli che mi dicono che non si parla d’altro nei giornali e non si vede altro, in tv. Sì, la cucina è morta, nella vita reale, come rito conviviale e accesso al gusto, ma gode ancora di buona salute nella nuvola di informazione ed intrattenimento che con la via reale convive e si interseca falsando spesso la prospettiva e nella mitopoiesi della memoria (ricordo certi affollati e rumorosi ristoranti degli anni Settanta le cui tavolate erano fucine di idee, covi di congiure e scuole di erotismo. Davano l’idea che l’idea che vita fosse piena e la festa destinata a durare in eterno). Ma in questo caso almeno l’abbaglio fu collettivo. […]

…segue per 4 pagine nel numero 193 di Blow Up, in edicola a Giugno 2014 al costo di 6 euro

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