Fernando Pessoa - Cesare Pavese
Fernando Pessoa - Cesare Pavese
Fabio Donalisio, Luca Moccafighe

[nell'immagine: Fernando Pessoa]


L'inquietudine di FERNANDO PESSOA, la chirurgia di CESARE PAVESE. Due diari, letali.
di Fabio Donalisio

SALUTIAMO con piacere la nuova edizione del Desassossego di Pessoa, qui sotto l'eteronimo di Bernardo Soares, curata da Paolo Collo sul testo critico portoghese messo a punto da Jerònimo Pizarro. Oddio, piacere non è proprio il termine preciso da associare al lungo, singhiozzante e abissale percorso nelle profondità di una testarda inettitudine al vivere: quella di Soares, di Pessoa, quella che si annida sotto i tappeti, più o meno lindi, della nostra “normalità” di esseri socialmente utili. Delle altre incarnazioni di Pessoa si parla brevemente su queste stesse pagine, tenendo bene a mente di quanto sia facile alla voragine qualunque discorso sull'eteronimia, sull'ortonimia, sulla moltiplicazione e distruzione delle personalità, sull'aderenza dei nomi alle cose, alle persone, ai personaggi, agli autori et caetera... Per inquadrare altrettanto brevemente Bernardo Soares, prendiamo in prestito le parole del compianto Antonio Tabucchi: «Bernardo Soares è un uomo che sta alla finestra. […] Taciturno e solitario, egli se ne sta dietro ai vetri, come il vecchio Flaubert, a spiare la vita. Una vita esterna e reale ma che si svolge estranea a lui, anche se gli transita accanto, e una vita interiore e inventata: perché la finestra di Bernardo Soares ha le imposte che si possono aprire nei due sensi, sul fuori e sul dentro. E anche quel “dentro” è un luogo estraneo e ignoto al suo abitatore, un “dentro” in affitto, la camera di un albergo che Soares divide con altri se stesso che egli non conosce. Su questi due paesaggi che si intersecano e confondono, Soares va scrivendo, minuziosamente, con la maniacale puntigliosità del contabile, il suo diario: grandioso zibaldone fatto di journal intime, di riflessioni, di appunti, di impressioni, di meditazioni, di vaneggiamenti e di slanci lirici che egli chiama Libro e che noi potremmo chiamare romanzo. […] È un romanzo doppio, perché Pessoa ha inventato un personaggio di nome Bernardo Soares e gli ha delegato il compito di scrivere un diario». […]


PESSOA E I SUOI VOLTI
Ritratto di uomo con troppi nomi
di Luca Moccafighe

«L’origine dei miei eteronimi è il tratto profondo di isteria che vive in me.(…) Essi esplodono verso l’interno e io li vivo da solo con me stesso».

DOVEVA ESSERCI qualcosa di particolare nell’aria che spirava in Europa fra la fine del secolo decimonono e i primi decenni del Novecento, se gli sdoppiamenti o le moltiplicazioni sono diventati uno dei temi principali degli artisti e degli intellettuali di quel periodo: Freud e il suo subconscio, Jekyll e Hyde di Stevenson, l’uomo nero di Esenin, l’uno, nessuno e centomila di Pirandello, i, o forse meglio il K. di Franz Kafka, tanto per citare gli esempi più lampanti. L’Io non è più sufficiente. Non fa eccezione Fernando Pessoa, dato che addirittura riesce a creare nel corso della sua breve ma densa carriera ben quattro eteronimi principali, quattro nomi diversi ai quali vengono dati una fisionomia, un carattere e dei tratti ben precisi.
Tutto nasce con Alberto Caeiro, la cui creazione contribuì a rendere felice e trionfale il proprio ideatore, orgoglioso di quel parto intellettuale, della sua prima maschera letteraria dietro alla quale poteva celarsi. Non solo, l’ortonimo (che è colui che crea gli eteronimi), legato alla sua città come pochi altri, uno che, come Baudelaire, aveva bisogno del fumo dei comignoli, intuisce che il bisogno di una primordialità bucolica, rappresentata da campi, natura, greggi e divinità pagane, va alimentata un’altra volta almeno, prima che si scivoli in maniera inesorabile nell’inferno della modernità, del progresso e della tecnologia. […]


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