Fine della letteratura
Fine della letteratura
di Maurizio Bianchini e Fabio Donalisio

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Da quando (e senza sapere per quanto ancora) ci svegliamo ogni mattina nello stesso film, Ricomincio da capo (Harold Ramis, 1993), costretti a ripetere i medesimi gesti, guardare gli stessi programmi in tv e ascoltare le stesse notizie – cambia solo il numero dei morti; da quando (e senza avere idea di fino a quando) ci avventuriamo in strade vuote come le highway della Los Angeles spettrale di 1975: Occhi bianchi sul pianeta Terra (Boris Sagal, 1971) cercando di sfuggire alle trappole d’un nemico invisibile; da quando viviamo in casa, chiusi a chiave da fuori come i perdigiorno del GF Vip, parlare di letteratura appare fuori luogo, velleitario e decisamente superfluo. Eppure, proprio questo, la sua suprema estraneità alla contingenza, rende indispensabile la letteratura, nel modo in cui l’intendeva Oscar Wilde: come un lusso. Ma sì, toglieteci il necessario: l’informazione entropica, i siparietti degli ‘esperti’, le diatribe della politica, il pianto dei coccodrilli e il riso delle iene e lasciateci in cambio il superfluo: la letteratura, il bene rifugio che da tempo immemorabile ci aiuta a vedere oltre la portata dello sguardo. Come la brigata del Decamerone, che si racconta storie aspettando che passi la Peste nera, ho passato anch’io il tempo della solitudine profilattica confortato dalle storie. Non quelle del Decamerone, impresa che si compie una volta sola nella vita, ma le dodici selezionate per la tornata finale del Premio Strega 2020 da cui verrà selezionata la cinquina da cui uscirà il vincitore (l’elezione del papa è una formalità, in confronto). E proprio le considerazioni stimolate dalla loro compulsazione, sono il seme di questo articolo. […]

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