Galaxie 500
Galaxie 500
di Giancarlo Turra

Tenendo presente l'argomento che stiamo per affrontare, ci piace l’idea di partire dalle origini con un esercizio di scienza dell’ovvio. L’anima dei Velvet Underground era duplice e nondimeno complementare: una magnifica, inquietante medaglia sui lati della quale le stordenti orge di rumore e gli spettri folk urbani si alternavano – e talvolta si univano – in panorami illuminati dal neon per tratteggiare quadretti di innocenza smarrita, frammenti di desideri e di seducenti ambiguità. La loro arte visionaria, concreta e priva di prosopopea è un pilastro fondamentale che non può essere in alcun modo sottovalutato, specialmente in tempi di revisionismo e relativismo estremi come quelli che stiamo attraversando: basta (e persino avanza) annotare che essa ha influenzato o plasmato il krautrock, la new wave, il pop chitarristico intriso di malinconia facente capo alle etichette Postcard e Creation, il rock prefissato indie e post e importanti diramazioni chiamate shoegaze e slowcore. Inoltre, è uno dei poli magnetici seguiti da una band americana che, in coda agli anni Ottanta, ha ricavato sintassi, vocabolario e grammatica di pagine personali da una policroma educazione sentimentale.
Poiché è facile “soppesare” un gruppo (e, di conseguenza, coglierne la filosofia e l’estetica) dalle cover che esegue, la stessa educazione si ripresenta delineata in una lista di rifacimenti di brani altrui che alterna le sorprese agli ossequi che ti aspetti. Una sfilata di re e regine dove ammiriamo per l’appunto i Velvet e, senza soluzione di continuità, culti di sostanza che camminano sotto braccio a conclamati pesi massimi: Young Marble Giants e Beatles, Buffy St. Marie e New Order, Rutles e Sex Pistols, Jonathan Richman e George Harrison, Red Krayola e Yoko Ono… Di un elenco che pare sia stato stilato spulciando tra le nostre collezioni di vinili, oltre ad applaudire la varietà di scelte legate tra loro da un filo rosso che congiunge l’emotività al respiro arty, vale la pena sottolineare che si tratta di geniali trasfigurazioni che sfociano nell’appropriazione, trattenendo l’essenza della “materia prima” nell’istante in cui ne stravolgono le forme. Veri e propri attestati di intelligenza e talento, indicano le origini (e allo stesso tempo confondono le carte) di un repertorio autografo che rafforzano e con il quale finiscono per confondersi. […]

…segue per 6 pagine nel numero 330 di Blow Up, novembre 2025

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