Holger Czukay
Holger Czukay
di Christian Zingales

[nell’immagine: Holger Czukay, foto di Brian Rasic]

Rock Stock
Nato Holger Schüring nel 1938 da genitori tedeschi rifugiati a Danzica, morto settantanovenne lo scorso settembre vicino a Colonia dove viveva, non sopravvissuto alla scomparsa a fine luglio della cinquantacinquenne moglie Ursula Kloss aka U-She, Holger Czukay ci lascia un tesoro sonico di inestimabile bellezza e importanza. Ci lascia soprattutto tanta gioia. Nel 1945 la sua famiglia si era trasferita a Berlino. Da ragazzo aveva lavorato da un elettricista riparando radio e televisioni e imparando i segreti di ogni riproduttore audio, e dopo qualche esperienza come musicista jazz amatoriale dal 1963 al 1966 aveva studiato con Stockhausen, che lo aveva ribattezzato “il cercatore”. Da qui il suo pseudonimo Czukay, che in polacco suona grossomodo come “cercare”. Nel 1968 va a insegnare in Svizzera dove uno studente, Michael Karoli, lo introduce a Frank Zappa, i Velvet Underground e ai grandi del rock di quel periodo, da Hendrix ai Beatles, con I Am The Walrus che in particolare lo travolge. Nello stesso anno prende forma la dinamitarda macchina Can: Karoli alla chitarra, Irmin Schmidt alle tastiere, alla voce prima Malcolm Mooney e poi Damo Suzuki, Czukay al basso a formare il devastante asse ritmico con quella drum-machine umana che è stato Jaki Leibezeit, che tra l’altro Holger occasionalmente doppia con drum-machines vere e proprie. Dal primo “Monster Movie” del ’68 passando per capolavori come “Tago Mago” e “Ege Bam Yasi” Can diventa veicolo per fare esplodere “composizioni istantanee”, un ribollente crogiolo dove i concetti di improvvisazione, rock, jazz, psichedelia, etnica, elettronica, avanguardia, pop perdono i loro connotati nello stesso momento in cui vengono inconsapevolmente magnificati, in una magmatica quanto enigmatica, offensiva e gentile, istintiva, tedeschissima trance. Il ruolo di Czukay si rivela presto essere quello di grande, umile supervisore dei Can, il loro ingegnere e alchimista, uno stregone del banco del mixer che conosce i fluidi del suono, il finalizzatore e maestro dell’editing che trasforma improvvisazioni di ore e ore in cut-up artistici, ovvero il risultato che arriverà a noi su disco. “I film sono fatti allo stesso modo” dirà, “registri un sacco di materiale, filmi tantissime scene, e poi devi scegliere, mettere tutto insieme”. Lascia i Can nel 1977 dopo la pubblicazione di “Saw Delight” ed è già in quella fase in un suo bunker tra nastri magnetici e onde radio e cut di loop primitivi, assemblando voci e suoni trovati pronti da sparare nel flusso sonoro. Un’attitudine che ha radici lontane. […]

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