Jean-Pierre Mocky
Jean-Pierre Mocky
di Roberto Curti

Lo zio indegno
Truffaut è morto giovane e bello, come si addice agli eroi. Godard è l’intoccabile venerato maestro (i tempi delle torte in faccia sono finiti, e se qualcuno osa prenderlo per i fondelli, apriti cielo, vero Hazanavicius?). Gli altri, pian piano, se ne sono andati tutti, ultima la piccola Agnès.
E Mocky? Ah, già. Lui è lo zio indegno, la pecora nera, quello di cui alle feste comandate si fa finta di dimenticare l’esistenza, e che quando ci siede accanto a tavola si guarda con un po’ di imbarazzo perché non conosce le buone maniere, parla con la bocca piena e a voce troppo alta, smoccola e beve sempre un bicchiere di troppo.
In Francia lo amano e lo odiano, lo detestano e lo coccolano. Perché Jean-Pierre Mocky – regista, attore, sceneggiatore, produttore, montatore, esercente, filibustiere – è un personaggio unico e inimitabile nella storia del cinema d’Oltralpe. Si è fatto strada nella settima arte con cocciutaggine e impudenza, contro tutto e tutti. Ha lavorato col fior da fiore del cinema patrio, da Bourvil a Fernandel, da Jean-Louis Barrault a Michel Simon, da Philippe Noiret a Michel Serrault, da Catherine Deneuve a Jane Birkin. Si è circondato di collaboratori del calibro di Raymond Queneau, Eugen Schüfftan, Maurice Jarre, Marguerite Renoir. E si è anche fatto innumerevoli nemici.
In Italia Mocky è un carneade. I titoli usciti in sala da noi sono una dozzina, e la riflessione critica langue: anche perché il personaggio, sgusciante come un’anguilla, è difficile da incasellare. Solitario, ma non marginale: anzi, cineasta popolare tout court, come notava Serge Daney, «non perché fa milioni di spettatori ma perché s’ispira alla cultura popolare francese (quella che rimane)»[1]. E con all’attivo una filmografia disordinata e fluviale che vanta ormai una settantina di titoli (più la quarantina di episodi della serie Myster Mocky Présente..., in onda dal 2007 al 2009, risposta casereccia ad Alfred Hitchcock presenta) spazianti dalla commedia al polar, dalla farsa al fantastique e spesso riottosi alle buone maniere, al buon gusto e al buon cinema. Cui vanno aggiunti una manciata di libri di memorie, un paio di romanzi e svariate partecipazioni attoriali, nei propri film e in quelli altrui. Come quella all’inizio di Prénom Carmen dell’amico Jean-Luc, dove Mocky è il pazzo che va in giro gridando «Y a-t-il un Français dans la salle?», che guarda caso è il titolo di un suo film dell’anno precedente, che a Godard (giustamente) piacque molto. […]

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