Jethro Tull 2
Jethro Tull 2
di Giovanni Vacca

Questo articolo è scritto da un fan. Un autentico fan, di quelli che per decenni hanno conservato, facendolo solo per loro e per nessun altro, fotografie e ritagli di giornale, poster, biglietti di concerti e memorabilia varia oltre a, naturalmente, dischi e audiocassette registrate. Un fan, il sottoscritto, che si chiede ancora perché, pur essendosi occupato professionalmente di musica per un’intera vita (e avendone quindi ascoltata tanta, e di tutti i generi, dal rock alla canzone d’autore, dalla classica all’opera, alla contemporanea fino, soprattutto, alle musiche etniche di mezzo mondo), continui impenitente a tornare periodicamente a quel flauto, a quella voce un tempo calda e perfettamente intonata, a quel signore insomma (Ian Anderson, ovviamente) che ha creato, nei Jethro Tull, un gruppo ed un repertorio unico nel suo genere; un repertorio non risolto solo nella musica ma completato sul palco, almeno prima che l’uomo invecchiasse, dalla sua esuberante presenza scenica, dalla sua incredibile capacità di ipnotizzare le platee di tutto il mondo. Un gruppo che, in tutta onestà, riconosco avere un posto nella storia della musica solo relativamente al suo periodo di grande successo (dal 1969 al 1973, più o meno), perché i capitoli successivi della sua vicenda sono noti soltanto ai cultori, ai loro fan appunto.
Un articolo commemorativo per una band così longeva non può non contemplare, è inevitabilmente un obbligo, l’analisi cronologica della produzione discografica. Non potendo esimermi dal farlo, cercherò però di non indugiare su una prassi così scontata, provando invece a rintracciare le coordinate e il senso artistico di questa avventura musicale che ha fatto vendere decine di milioni di dischi e fatto riempire teatri in ogni dove pur non avendo ancora i Jethro Tull, incredibilmente, una menzione nella Rock And Roll Hall of Fame. La storia è invero singolare, perché la loro affermazione fu immediata e travolgente, tanto che i Tull furono, dal 1969 al 1973, l’epoca d’oro del progressive, una delle rock band di maggiore popolarità nel mondo intero. Passato quel periodo, però, il successo di massa scemò con il declino del genere al quale sopravvissero in pochi (i Pink Floyd, per esempio): mentre alcune formazioni si separavano (Emerson, Lake & Palmer) e altre andavano in crisi (i Genesis e i King Crimson, che poi si sarebbero completamente rinnovati negli anni ’80, i primi virando verso il successo commerciale, i secondi abbracciando la new wave), i Tull non si sciolsero e Ian Anderson ha da allora continuato imperterrito a proporre la sua musica fino ad oggi ad un pubblico ridotto ma fedele, stregato dalla sua personalità e indifferente al discredito che dopo il punk era stato gettato sui protagonisti della musica degli anni ’70, etichettati come “dinosauri”. […]

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