John Coltrane a 50 dalla morte
John Coltrane a 50 dalla morte
di Enrico Bettinello

1. Gli ultimi anni
Il 14 luglio del 1967 John Coltrane si incontra con il suo produttore alla Impulse!, il mitico Bob Thiele. Ora, provate a mettervi un po’ nei panni di Thiele: dovete vedervi con il vostro artista di punta, uno dei grandi geni riconosciuti del jazz, un musicista su cui avete puntato moltissimo, uno che non ha nemmeno 41 anni e che sta ridefinendo di mese in mese i confini del linguaggio della musica creativa. Dovete sistemare i dettagli del nuovo disco in uscita, quattro pezzi incisi pochi mesi prima e che Coltrane stesso suggerisce vadano sotto il titolo “Expression”. Peccato che l’uomo che incontrate sia praticamente un morto che cammina. Thiele fatica a mantenere un contegno: Coltrane è in condizioni davvero angoscianti e gli si legge in faccia che ha le ore contate. Due giorni dopo viene ricoverato in ospedale dove muore il 17 luglio per un tumore al fegato.
La morte di John Coltrane è un evento che, nella storia del jazz, ha assunto un valore simbolico che va bene al di là della pura cronaca e della pur shockante circostanza umana. La morte prematura di un “gigante” del jazz in grado di influenzare in modo decisivo molti colleghi strumentisti, nonché di rimettere sempre in discussione i confini del linguaggio di riferimento diventa infatti qualcosa di fortemente iconico, tanto che si parla spesso di jazz “post-coltraniano” per definire quelle espressioni artistiche che dalla fine degli anni Sessanta hanno aperto il linguaggio afroamericano in molteplici direzioni, dall’avanguardia di matrice chicagoana alla fusion, passando un po’ per tutto il resto. Chiaro che, al netto delle suggestioni, il fatto che i linguaggi jazzistici subiscano una forte trasformazione in quegli anni, è del tutto indipendente dalla circostanza che sia venuto a mancare Coltrane. È qualcosa che ha a che vedere con le trasformazioni sociali e culturali del tempo – è questione acquisita – con il preponderante avvento del rock come rito identitario giovanile, con l’esponenziale intrecciarsi di influenze e sonorità popolari, con l’adesione da parte di una consistente fetta di pubblico nero al soul e al funk più che ai linguaggi prettamente jazzistici, che erano da un lato ormai in parte appannaggio dell’ascoltatore borghese bianco, dall’altro erano stati estremizzati in senso politico e lessicale e, quand’anche cavalcanti le mode del momento – come accadeva con il soul jazz – difficilmente erano in grado di segnare forti tendenze come quelle che venivano da altri settori della popular music. […]

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