Johnny Cash
Johnny Cash
di Federico Guglielmi

Vetta delle classifiche country e generale negli USA, con il singolo A Boy Named Sue arrivato rispettivamente al primo e al secondo posto, mezzo milione di copie vendute in due mesi solo in patria (oggi la cifra è abbondantemente superiore ai tre milioni), due nomination per i Grammy Awards: questi i numeri di “At San Quentin”, commercializzato dalla Columbia il 4 giugno 1969. Altro che reduce del r’n’r delle origini! In quell’ultimo scorcio di Sixties, a trentasette anni da poco compiuti, John R. Cash da Kingsland, Arkansaw, era una stella di accecante splendore, che in quanto a popolarità e appeal personale dava punti a parecchie rockstar. Non era però stato sempre così; dopo i fasti dei tardi Fifties, il Nostro aveva costantemente mantenuto un’ottima reputazione in ambito country con piazzamenti di rilievo nelle charts di settore, ma per quanto riguarda le graduatorie pop la sua presenza nei Top 30 era stata per una buona decina d’anni piuttosto sporadica. A rilanciarlo a livello di pubblico di massa aveva provveduto nella primavera del 1968 “At Folsom Prison”, il 33 giri registrato nel gennaio dello stesso anno nell’antico carcere californiano di Folsom; l’originale idea era piaciuta ed era quindi stata premiata dal rapidissimo acquisto del disco da parte di mezzo milione di americani e dalla tredicesima piazza nella classifica pop (scontato il primo in quella country). Per Cash, quell’inatteso successo fu il coronamento di un periodo di rinascita avviato proprio nei giorni in cui aveva iniziato a pianificare il concerto a Folsom, con la decisione di disintossicarsi dalle anfetamine (lo fece in effetti solo parzialmente, ma meglio di niente), il riavvicinamento alla religione e soprattutto il sospirato matrimonio con la sua anima gemella, June Carter. Visto che l’exploit dietro le sbarre era stato così fortunato, si sarà detto lo scaltro musicista, perché non riprovarci battendo il ferro finché era ancora caldo? ]…]

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