JRR Tolkien
JRR Tolkien
Ilde Menis, Massimiliano Spanu, Raffaele Meale

L'uscita di Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato di PETER JACKSON, prequel di Il Signore degli anelli, è lo spunto per una riflessione sul mondo fantastico di J.R.R. TOLKIEN


UN VIAGGIO INASPETTATO
J.R.R. Tolkien: dallo Hobbit al Signore degli Anelli senza passare (per forza) attraverso il fantasy
di Ilde Menis


QUANDO IL MONDO smetterà di considerare J.R.R. Tolkien (1892-1973) il padre fondatore del genere fantasy, saremo in tanti ad essergliene profondamente grati. Lo saranno, suppongo, gli estimatori e gli allievi filologi e lo saranno i lettori dell’opera omnia (forse pochi, in verità), indissolubilmente legata, ad ogni nuova scoperta e traduzione perfino quando si tratti di opera eminentemente filologica (mi riferisco al recente I figli di Hurin), al successo planetario – ora più che altro cinematografico – del Signore degli Anelli. Ciò che disturba il buon conoscitore del corpus tolkieniano è che soprattutto gli editori si siano sentiti in dovere di raffrontare ogni racconto fantastico con quello che è stato fatto diventare un archetipo del fantasy, dai romanzi più antichi a quelli più recenti, in una gara a chi si avvicina di più all’inavvicinabile. Che è tale proprio perché se certamente la letteratura tolkieniana attinge al fantastico, d’altra parte esprime una ricchezza inimitabile di conoscenza delle tradizioni, della lingua, delle culture popolari quali un semplice racconto inventato non potrà mai pareggiare. Letteratura eroica, la definirà lo stesso Autore e forse faremmo bene a ricordarcene più spesso.
Il fiabesco, ben delineato in un saggio contenuto nella raccolta Albero e Foglia, contraddistingue certamente una parte della produzione di Tolkien, trovando i suoi migliori accenti nelle Lettere di Babbo Natale, in Mister Bliss, in Roverandom, dove l’antico bambino parla con il linguaggio dei piccoli (e con i disegni di suo pugno) di un mondo nascosto ai grandi ma vivo e palpitante nella fantasia innocente dell’infanzia. L’intera opera va affrontata forse con la curiosità dei bambini di fronte al mondo per comprenderne la portata non solo letteraria. Chi non ricorda più le emozioni e lo stupore della propria fanciullezza difficilmente può amare tanta grazia narrativa. […]


LA TERRA DI MEZZO, IL LAVORO DEL FILM.
di Massimiliano Spanu


CON L’USCITA de Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato è fisiologico rivedere i tre film de Il Signore degli Anelli (La Compagnia dell’Anello, 2001; Le due Torri, 2002; Il Ritorno del Re, 2003) e scoprirne caratteristiche che in prima visione sono state sottostimate. Il film – penso ovviamente ai tre film come opera unica – sembra ancora oggi “materialmente”, non linguisticamente, grandioso. Si tratta, in effetti, di un prodotto conclamato del genio contemporaneo, laddove per genio si intenda la dimensione nella quale «l’arte riceve dalla natura le sue regole» per citare Derrida. A trascriverle ha provveduto il Weta Workshop di Wellington, azienda di conceptual design, di realizzazione e service all’industria del cinema che ha operato per la realizzazione di quasi tutto il profilmico, tutto il décor della serie.
A rivederne la risultante oggettiva, a dodici anni dalla prima di Wellington, il film di Peter Jackson acquisisce uno spessore concreto, materico, molto meno trasognato di quel che si ricorda. Quasi fisico. A questa considerazione contribuisce, da un lato, la sensazione dell’infinita mediazione in cui si cimentarono regia e produzione esecutiva di un film di tale complessità: cioè, il pensiero dell’agire quotidiano e complessivo finalizzato al rendere possibile, in termini organizzativi, la performance drammaturgica e quella cine-fotografica. Dall’altro, si avverte pienamente l’incommensurabile, collettiva sapienza del suo design produttivo, il fare applicato, artigianale nella scoperta, nella scelta dei materiali eterogenei per creare corazze, peli e pelli rugose, denti, grinte e capigliature, barbe, mani e piedi grotteschi, schiene nerborute, unghie, cinghie e tracolle di cuoio, cotta di maglia di “mithril”, mantelli e cappucci, ciotole e bicchieri, torba, neve; oppure anche, i diorama delle cave, Trombatorrione, l’Interminabile Scala (escheriana), i mezzi di trasporto (carri, carretti, barche), il fango abominevole dalla cui placenta sorgono le più immonde creature; o l’onda di piena che al guado elfico spazza gli spettri a cavallo. […]


È SUCCESSO UN 48 (FPS)!
di Raffaele Meale


Il cinema è verità 24 volte al secondo.
[Michel Subor ne Le petit soldat di Jean-Luc Godard (1963)]

SI APRE DAVANTI agli occhi degli spettatori la prima inquadratura e il Bilbo Baggins di Ian Holm sta raccontando a Frodo/Elijah Wood ciò che gli accadde sessanta anni prima, durante la prima grande avventura della sua placida esistenza hobbit. L'ambiente, non serve neanche specificarlo, è Casa Baggins, e a Hobbiton fervono i preparativi per la festa per il centoundicesimo compleanno di Bilbo... Inizia così, nello stesso spazio e nello stesso tempo che nel 2001 fungeva da ouverture a La compagnia dell'anello, il primo capitolo de Lo Hobbit, nuova trilogia tolkeniana firmata da Peter Jackson. Da quello che può apparire a prima vista niente più che un semplice vezzo autoriale, si può forse cogliere il problema di fondo della gargantuesca operazione produttiva allestita dalla New Line insieme alla Warner Bros e alla Wingnut Films: dopo aver tradotto in immagini la trilogia de Il Signore degli anelli, il cineasta neozelandese non si è avvicinato a Lo Hobbit – il primo dei romanzi che compongono il ciclo dedicato alla Terra di Mezzo, pubblicato nel 1936 – con lo sguardo appassionato che aveva contraddistinto la saga cinematografica fantasy per eccellenza, ma ha piuttosto partorito una sorta di deforme “Signore degli anelli 2”, senza cogliere le enormi differenze che esistono tra i due testi di riferimento. […]

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