Klaus Schulze
Klaus Schulze
di Gino dal Soler, Luca Majer e Christian Zingales

“CI SENTIVAMO i polmoni vibrare dentro la cassa toracica, ci sentivamo i denti tremare in bocca. La mia mano si è di nuovo protesa verso i tasti tondi, multicolori, di consistenze e trasparenze diverse, e vi ha impostato, come su una cetra dei suoni acuti, una breve melodia spiccata come un filamento di seta dai toni bassi del rumore del solenoide. E la volta si è di nuovo dischiusa, restringendo i suoi petali a spirale, e abbiamo nuovamente visto il cielo ruotare sopra di noi, carico del suo dovizioso raccolto di stelle...” (Mircea Cărtărescu, Solenoide)

Tutto accadde cinquant’anni fa, quando una tempesta cosmico-emotiva si abbatté sulla pelle di un adolescente che fin lì si era nutrito di beat, sogno californiano, e che aveva appena intravisto con Set The Controls For The Heart Of The Sun e A Saucerful Of Secrets, quali meraviglie potevano schiudersi oltre le porte della percezione, per una mente ancora fragile, ma già pronta ad alterarsi con o senza il conforto di sostanze particolari. Per primo si manifestò “Il Giardino del Faraone” poi toccò alla stella di “Alpha Centauri” ed infine si rivelò il misterico “fuoco fatuo” di “Irrlicht” l’autentico abisso spaziale . Il resto a cascata venne subito dopo. Ma erano anni carbonari e se non avevi i soldi per pagarti un viaggio a Berlino a cercare le primizie (cosa che avvenne più in là nel tempo) potevi solo confidare nel distributore d’importazione che passava nel tuo negozio di dischi preferito, oppure nella vera e propria distribuzione capillare, cosa che per la cosmica tedesca (a quel tempo nessuno parlava di krautrock e l’omonimo pezzo dei Faust era ancora di là da venire) fu alquanto problematica. Tant’è che tra il 1974 e il 1976, quando iniziarono a circolare le prime copie stampate in quadrifonia dalla nostrana e gloriosa PDU, di “Atem”, “Zeit”, “Alpha Centauri” dei Tangerine Dream, “In Den Gärten Pharaos” e “Hosianna Mantra” dei Popol Vuh, dell’esordio Ash Ra Tempel e poi di “Seven Up” e “Join Inn”, e naturalmente “Irrlicht” del compianto Klaus Schulze, a qualcuno sembrò fuori tempo massimo e anche il nostro Bert sulle pagine di Gong (ottobre 76) tuonò che “il morbo di Berlino apparso in tutto il globo al principio degli anni ’70 pare oggi definitivamente debellato. Ne restano affetti solo pochi personaggi dalle caratteristiche fisiche evidentemente deboli, collezionisti in fase di “regressione anale” e soggetti particolarmente predisposti all’ipnotismo, che al trucco della sweet harmony californiana, preferiscono il secco e perentorio “a me gli occhi!” della mitologia germanica. Gli altri (quelli che nel 1972 furono i “portatori benigni” dell’epidemia) son scappati da tempo: chi verso il jazz multiforme, chi verso l’elettronica o la classica rigorosamente tale, riconoscenti tutti verso quell’illuminazione un po’ sui generis…” Ma come, proprio ora che finalmente molti appassionati potevano ascoltare magari per la prima volta quelle meraviglie, ecco che è già tempo di rompere il giocattolo e passare ad altro. […]

…segue per 16 pagine nel numero 290-291 di Blow Up, in edicola a luglio e agosto 2022

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