Lucio Battisti
Lucio Battisti
di Maurizio Bianchini

1.
Non è mai facile spiegarsi la fine di un amore. Ma quando, a metà degli anni ’80, si è chiuso quello con la musica (rock nella sua accezione più estensiva) in seno alla quale sono cresciuto, non ho neanche tentato di capirlo. Ho smesso solo di seguire le nuove uscite e relegato le vecchie, ascoltate e riascoltate dio solo sa quante volte, a ‘bene rifugio’ per gli attacchi di nostalgia e le serate no. Mi sono fermato alla prima cosa che mi è venuta in mente per chiudere tutto. Ero troppo cresciuto per questo genere di cose; non mi apparteneva, o non le appartenevo, più. Non spiegava nulla, ma aiutava ad accantonare il problema senza troppi patè d’animo. Dopotutto, a chi interessava, parte me? In realtà non ero il primo, né l’unico, a non avere più niente di essenziale e di attuale da dirmi col suono pieno di scoperte che aveva accompagnato la mia generazione per un quarto di secolo, prima di finire tra gli altri innumerevoli, indistinti rumori di una vita sempre più oppressa dai decibel. Dopo un po’ ho smesso anche di leggerne, nei giornali sfogliati per tenermi informato sulle uscite di libri e di film di cui si nutriva ancora la mia ‘fame dello spirito’, che della musica e ancor più della ‘narrazione’ che l’accompagnava, non voleva più saperne. Finché un evento imprevedibile, un quarto di secolo dopo, ormai nell’età in cui si fanno gli esami di coscienza e si archivia il pregresso nella libreria della memoria, non ha risvegliato la domanda, latente in tutti questi anni, su cosa avesse spento l’amore così prossimo alla dipendenza, trovando anche una risposta meno evasiva. Se ne parlo, è solo perché mi sono reso conto di come l’intera questione oltrepassi la mia esperienza personale, in sé insignificante, per toccare un punto critico, una nota dolente, su come la musica rock e dintorni è stata recepita, da un certo momento in poi, non solo in Italia, ma ovunque; in Italia, però, molto più che altrove.

2.
Parto dalla solita stucchevole madelaine proustiana (la vita è piena di banalità con cui bisogna far pace) che ha aperto la porta a questa riflessione retroattiva. A ridosso di Ferragosto sono stato impegnato, con altri, nella realizzazione di due serate per ricordare una persona fuori dal comune, per l’intelligenza, la sensibilità, la cultura, la disponibilità, il candore, la versatilità, la pazienza e l’umiltà, virtù introvabile ormai quanto il falco capovaccaio, mancata all’improvviso pochi mesi prima, e rimasta nel ricordo, ma direi nell’anima, di una comunità intera, come attore e coautore di una compagnia teatrale, Quelli del martedì, nata dall’esperienza ultradecennale di teatro popolare di un piccolo paese di poco più di 5.000 abitanti, a meno di 50 km da Roma, Caprarola, del quale solo la penna di Garcia Marquez potrebbe raccontare il fascino e la magia. Da tempo, non c’è stato inverno, che nei Monti Cimini punge ancora, ignaro del riscaldamento globale, che non sia stato allietato da una commedia di quei savi mattacchioni; premiata regolarmente, anche per l’attualità dei testi, come migliore opera ‘amatoriale’, solo per la strana forma di strabismo che si ostina a vedere come dilettanti (nel senso più classista della parola) degli artigiani appassionati e professionali, e come professionisti, invece, dilettanti senz’arte né parte solo perché ‘passati in tv’, la fabbrica del dilettantismo pseudoprofessionale. Pur originando dal genius loci poetico del paese, le commedie di Quelli del martedì hanno parlato sempre in realtà del mondo in cui viviamo, e in questo mix di antico e nuovo, di radici e zeitgeist è il segreto del loro successo, in grado di raccogliere più di 1000 spettatori a stagione: un po’ come se a Roma il Sistina o l’Argentina raccogliessero un milione di paganti a stagione, cosa che richiederebbe chili di sali per far riprendere dallo svenimento i direttori artistici. Un risultato mai rivendicato. E anche questo ha del miracoloso, in una nazione farlocca che vorrebbe la Carrà santa subito e dedica a Calasso solo furtive lacrime, col contagocce, e pure di coccodrillo… […]

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