Massimo Troisi
Massimo Troisi
di Alberto Pezzotta

L’ANNO SCORSO erano passati venticinque anni dalla morte di Massimo Troisi, e volevo fare un esperimento: rivedere tutti i suoi film, capire che effetto fanno adesso, ricominciando letteralmente da zero. Ci riesco adesso, vabbe’, tanto “Blow-Up” non ha l’ossessione dell’attualità. Ricordo che nell’estate 1981 tutti avevano visto Ricomincio da tre. Ragazzotti sulle spiagge che si esaltavano raccontando la sequenza dell’aspirante suicida che dà un passaggio al protagonista, o recitando a memoria il monologo finale sul nome da dare al figlio – Massimiliano, Ugo o Ciro? Le stesse cose che si trovano antologizzate oggi su YouTube. Ma quanto è vivo Troisi nella cultura italiana contemporanea? Si parla ancora di “commedia malincomica”, definizione che dovrebbe essere stata coniata da Stefano Reggiani (cfr. per esempio Cinema italiano, è solo malincomico?, “La Stampa”, 31 dicembre 1983). All’epoca l’etichetta aveva il senso di legittimare il cinema dei “nuovi comici” da opporre ai “vecchi marpioni” della commedia all’italiana ormai in pieno sbaraccamento e malamente involgariti. (L’accusa di trivialità era l’asso della manica per il critico bon ton, e colpiva indiscriminatamente Manfredi, Sordi, Tognazzi e la generazione successiva, quella di Pozzetto e Montesano, che con la commedia classica c’entrava poco o nulla.) Un cinema “garbato” (cit.), intimista, tendenzialmente apolitico, non cinico, non volgare: oltre a Troisi, erano della partita Verdone e Nuti, anche se all’inizio tra i “nuovi comici” erano stati assoldati anche Nichetti e addirittura Nanni Moretti. Oggi vedo che nel caso di Troisi l’etichetta sopravvive, anche se appena mutata: il “comico dei sentimenti”. E vedo anche tracce di un frequente (e probabilmente successivo) paragone tra Troisi e Woody Allen, evidentemente nobilitante ma poco pertinente. Il tutto è abbastanza sconsolante. Ma appunto, ignoriamo etichette e luoghi comuni. […]

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