Mike Dunn
Mike Dunn
di Christian Zingales

[nell'immagine: Mike Dunn, foto di Jos Kottmann]

Cresce a Englewood, sud di Chicago, in una casa piena di dischi e musica, con la madre patita di soul e funk e disco e il padre che ascolta di tutto, dal jazz al rock, e nell’84, finite le superiori, inizia a suonare in piccoli party di zona, per i ragazzi che non potevano permettersi di uscire dal quartiere e frequentare i grandi club di Chicago come il Music Box con DJ Ron Hardy e la Power Plant, residenza di Frankie Knuckles dopo aver lasciato la Warehouse, i profeti del djismo della città del vento. Lui e un altro englewoodino, Tyree Cooper, all’inizio guardano alle house heads della città come a dei fighetti, e viceversa sono da loro considerati dei tamarri di periferia. Ma intanto Mike vive fisicamente quei suoi primi passi, oltre a piatti e mixer porta alle feste reel to reel e drum machine, suona dischi e ci improvvisa sopra. Il suo modello come DJ non è Ron o Frankie ma Leonard Remix Rroy, un prime mover della South Side che abbandonerà la scena nell’87 per entrare nell’esercito americano. La mentalità è ghetto, quando qualcuno gli propone di andare a vedere Hardy e Knuckles in azione rifiuta perché “in quei club è pieno di gay”. Oggi Dunn riconosce: “Ero ignorante, l’omofobia nasceva da lì. Una volta che sono riusciti a portarmi a vedere come spaccavano quei DJ ho smesso di essere omofobo”. Anche se l’avvicinamento a quei templi è stato graduale: “All’inizio stavamo fuori dal Music Box con la macchina aperta che suonava un nastro di Ron mentre noi fumavamo, bevevamo, ci facevamo un acido, sono state serate indimenticabili anche quelle”. Ma Mike è da subito un talento con la tecnologia, da bambino smontava i giradischi per capire i meccanismi, e dopo un primo focus coi reel to reel a farsi i primi edit, sperimenta con le macchine e inizia a produrre. […]

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