Musiche della transizione
Musiche della transizione
di Antonio Ciarletta

[nell'immagine James Ferraro]


Una decina di giorni prima che iniziassi a scrivere il pezzo che avete appena iniziato a leggere, dopo che ne era stata già sviluppata una stesura temporanea di diversa impostazione su cui avevo discusso a lungo con Stefano Isidoro Bianchi, un evento improvviso ne ha cambiato sensibilmente i contenuti. Passeggiando nel centro storico della mia città ho incontrato un amico che non vedevo da tempo, un vecchio ascoltatore di musiche alternative cresciuto nel mito dei Black Flag, dei Flipper e dei Dead Kennedys, e che negli anni Novanta venne fulminato sulla via del noise-rock più duro dai dischi della Amphetamine Reptile. L’amico non ascoltava esclusivamente rumore “fatto con le chitarre” per la verità, in quanto, estraneo alla logica quasi coercizzante degli steccati di genere che vigeva al tempo dell’esplosione dei Nirvana, affiancava alla fruizione di post-hardcore, noise, grunge e suoni frastuonanti vari, l’iniezione di massicce dosi di elettronica avanzata: Coil, Autechre, Aphex Twin, Orb, Drexciya, Underground Resistance e compagnia techno/IDM suonando avevano accompagnato i suoi stranianti viaggi sintetici.
Ebbene, dopo i normali e affettuosi convenevoli, passiamo a discutere dell’argomento che più ci aveva legato in passato, la musica. A questo punto l’amico mi dice sconsolato che non segue una beata mazza dal 2003, anno che lo vide lasciare la città per entrare nel turbine irrefrenabile della vita lavorativa milanese e dei doveri famigliari – intanto si era sposato. Conoscendo la sua proverbiale curiosità, nonché il suo irrimediabile nostalgismo, mi aspetto una domanda (che infatti arriva puntuale come la morte) su come giri il fumo nell’ambiente della musica underground, domanda che viene preceduta da una altrettanto prevedibile considerazione riassumibile nell’apodittico enunciato “sai, adesso non ascolto più quasi nulla, ma la musica di prima era migliore”. Nulla di nuovo sotto il sole, rifletto tra me e me. […]

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