Natalie Merchant
Natalie Merchant
di Marco Sideri

[nell'immagine: Natalie Merchant, foto di Shervin Lainez]

“Ero in città, qualche anno fa e questo signore anziano mi carambola addosso; mi sono chinata su di lui e ho detto: dobbiamo chiamare un’ambulanza perché quest’uomo è molto ubriaco. Non ho detto: quest’uomo è molto ubriaco lasciamolo spalmato sul marciapiede. Avrà avuto 80 anni ed era ben vestito: non sembrava uno abituato a ridursi così, e anche lo fosse stato, io avevo la responsabilità, come essere umano, di aiutarlo. L’ho perquisito, ho trovato il telefono e la moglie l’aveva chiamato 40 volte quel giorno. Ho scoperto che qualcosa di molto traumatico era successo nella loro famiglia, lui era uscito a bere, non era abituato, e mi è svenuto addosso. Mi sono appuntata l’indirizzo e ho fermato un tassista; gli ho dato 80 dollari e detto: porta quest’uomo a casa, perché se va da solo e cade davanti una macchina rischia di morire. La moglie ha voluto sapere chi fossi e mi ha scritto un biglietto di ringraziamento dicendo che le avevo restituito fiducia nell’umanità. Persino il tassista mi ha detto: sei fuori, posso prendere ottanta dollari e scaricarlo al prossimo incrocio. Gli ho detto, ma non lo farai. E lui mi ha detto: no, non lo farò. E lo ha accompagnato fino alla soglia di casa.”
Questa storia, che potrebbe essere un racconto o una canzone, arriva quasi alla fine dell’intervista a Natalie Merchant; un’ora in cui lei si commuove due volte, parla di radici e giustizia e musica folk, canta (due volte) e ripassa tutto quello che è capitato da quando, neanche maggiorenne, ha cominciato a cantare nei 10.000 Maniacs, inciampati insieme a tanti contemporanei in un folk che poco aveva di ortodosso ma riusciva, come il folk buono è abituato a fare, a descrivere un tempo; quello del rock indipendente, dei R.E.M. primitivi, degli arpeggi e delle melodie storte.
È passato un sacco di tempo da quei dischi. Natalie è scesa dal treno proprio all’apice dello splendore quando “Unplugged”, nel 1993, regalava ai 10.000 Maniacs un pochino di quella luce assordante capitata ad “Out Of Time” dei R.E.M. e, un anno dopo, ai Nirvana pure loro unplugged.
Da allora, Miss Merchant ha coltivato una via privata al classicismo in musica, prendendo in carico la gestione di ogni cosa (“Quanto tempo fa ha mangiato il mio chitarrista? Sarà affamato?”) e esplorando disco dopo disco quella zona di folk totale che le grandi voci sanno trovare, tra successi (“Tigerlily”, 1995), gemme sotterranee (“The House Carpenter’s Daughter”, 2005), capolavori (“Leave Your Sleep”, 2010) e, fresco di stampa e recensione [nel numero del mese scorso], “Keep Your Courage”. Un disco che tira tante fila di musica e vita, individuali e universali.
“Il disco nasce da questi ultimi anni. Non è locked down nella mia camera. È locked down al pianoforte a scrivere canzoni che poi per la strada sono diventate enormi orchestrazioni. È stato un processo organico. Non io che penso: è un po’ che non faccio un disco e allora ne faccio uno gigante e parlerà d’amore. È stato graduale. Ho avuto un’operazione alla spina dorsale: tre ossa estratte dal mio collo la settimana prima che iniziasse il lockdown. Avevo moltissimo dolore, paura ed ero immobilizzata da un gesso che mi teneva su la testa. Non potevo cantare neanche quando il gesso è sparito. E in più ho perso l’uso di una mano per mesi. Ho dovuto educarmi di nuovo a muovermi e suonare il piano, senza terapia: era vietato anche solo vedere il dottore e nessuno poteva venire a casa. E intanto il mondo crollava. Ero devastata dalla tristezza e dalla paura: di quello che stava succedendo al mio corpo. Questo disco è il disco del rientro, della riconquista del mio corpo.” […]

…segue per 4 pagine nel numero 301 di Blow Up, in edicola a giugno 2023

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