Populismi
Populismi
di Maurizio Bianchini

[nell’immagine: Donald Trump con mezza testa]

1.
L’antefatto. Un tipo come tanti, studente di arte al college, aspirante sceneggiatore e padre amorevole di due bambine, parte una mattina per Washington dalla città nel North Carolina in cui vive, e con un fucile da guerra e una pistola entra in una pizzeria. Cerca le prove del crimine – traffico di minori in schiavità sessuale – di cui alcuni siti della Supremazia Bianca accusano Hillary Clinton. Ma non c’è traccia di bambini rapiti nelle segrete del locale. La foto del giovane Braveheart sotto il tiro di un agente, in ginocchio, mani dietro la nuca, infiamma per qualche ora i nostalgici del KKK. Quando si rivela un boomerang, esce la contro-balla. Il ragazzo ha studiato arte (l’arte, il darwinismo, la presunzione d’innocenza, sono considerate degenerazioni liberal dai trumpisti); è anche un attore; dunque è stato ingaggiato dai democratici per screditare Trump (impresa stupida quanto attraversare a piedi l’Antartide per dimostrare che c’è la neve). Ma “Pizzagate rimane una pista valida, finché non ci dimostrano il contrario”, scrive tale Michael Flynn Jr. Suo papà, Michael Flinn Sr, è il Consigliere della Sicurezza Nazionale del Presidente eletto. Dovrebbe saperlo che si cercano le prove della colpevolezza, non dell’innocenza: ma chi ci metterebbe le mani sul fuoco?
È (anche) con storiacce del genere che Trump ha vinto le elezioni e formato un governo di ministri scelti sulla lista dei miliardari di Forbes, o sul Who’s Who dei fondamentalisti cristiani o nei siti dell’ultra destra suprematista. Dice: il popolo ha scelto (vero). E il popolo ha sempre ragione (falso). Le scelte del popolo sono ultima ratio e da esse discende la legittimità dei governi. Ma che quelle scelte siano buone spetta alla storia stabilirlo. Le elezioni tedesche che nel 1933 portarono Hitler al potere furono al tempo stesso legittime e nefaste. E il meno che si possa dire del trumpismo trionfante è che le premesse non sono incoraggianti. Dice: non si può condannare un’Amministrazione prima di averla vista in opera. Mica vero. La scelta dei collaboratori è già un atto di governo. Fondativo, per di più, perché ad essi si delegano anche questioni di principio. E in un sistema elettorale federale in cui decidono i Grandi Elettori e non gli elettori singoli, che hanno dato a Hillary Clinton quasi due milioni di voti in più rispetto a Trump, c’è il rischio che una minoranza – la quale, per inciso, ha già detto di volerlo fare – imponga alla maggioranza leggi lesive della libertà di opinione, come rendere materia di insegnamento qualcosa – la creazione dell’universo da parte del Dio di Mosé – di cui non esiste alcuna prova scientifica. È vero, a giorni alterni arrivano anche rassicurazioni e buoni proponimenti (il principio di non contraddizione è considerato dal Trump un espediente sleale); ma, com’è noto, l’inferno è lastricato di buone intenzioni. Bush II avrebbe dovuto cancellare l’Islam terrorista arginato dai vari Saddam Hussein, Gheddafi, Assad: ha finito per creare l’Isis; a Obama spettava di archiviare per sempre le tensioni razziali e invece ha aperto la strada a un presidente che considera neri e latinos americani di serie B. […]

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