Progressive Rock
Progressive Rock
di Alberto Piccinini

[nell'immagine: Emerson, Lake & Palmer]

NON SONO granché d’accordo con Piergiorgio Pardo quando - presentando i “20 prog essentials” sul numero 190 di Blow Up – scrive che “generazioni di ascoltatori hanno tenuto vivo un culto più o meno di nicchia a seconda dei periodi ma mai realmente esauritosi”. Certo: il neoprogressive. Certo: il grande network di collezionisti, ristampe, giapponesi, fiere, reunion, tenuto assieme e moltiplicato in questi anni dalla Rete. Storie bizzare, nostalgiche, appassionanti. Ma che non risolvono una questione per me davvero affascinante e centrale nella storia del rock: la scomparsa del prog, alla fine degli anni ’70. Colpito, affondato, inabissato proprio come un’Atlantide nell’oceano. Rimasto sepolto laggiù senza che niente o nessuno – non il culto sotterraneo, neppure l’avida retromania dell’ultimo decennio - abbia potuto farci davvero qualcosa.
L’evocazione di Atlantide piacerebbe forse agli ultraprog italiani The Trip, che così intitolarono il loro terzo album del 1972. Vi si contemplava per metafora la sorte dell’incipiente tardo capitalismo. Almeno credo. Del 1972 è la pubblicazione del cosiddetto Rapporto Meadows, nel quale i ricercatori del Mit di Boston - usando i computer allora a disposizione - simularono il futuro dell’economia mondiale prevedendo la “fine dello sviluppo” nei primi decenni del XXI secolo. Cioè in sostanza, oggi. In occasione della ristampa dell’album, due anni fa, venne fuori pure che il tema del disco sarebbe “la genesi e la caduta di una società totalitaria” (cfr. wikipedia). Poco cambia. I colonnelli avevano preso il potere in Grecia nel 1970. Nel 1972 si cominciarono a svelare i pezzi del misterioso Golpe Borghese, tentato in Italia due anni prima. Nel 1973 i generali cileni uccidevano Allende. […]

…segue per 10 pagine nel numero 191 di Blow Up, in edicola ad Aprile 2014 al costo di 6 euro

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