Regina Spektor
Regina Spektor
Bizarre

Il ritorno di REGINA SPEKTOR con il nuovo album ci fornisce lo spunto per ripercorrere una panoramica di una delle cantautrici più emblematiche degli anni zero. Chi è disposto a innamorarsi di Regina?

PROVATE PER COMINCIARE a sentire Better, secondo pezzo di “Begin To Hope”. L’attacco è un riff di pianoforte, di quelli intensi che potrebbero già quasi commuovervi. La successiva progressione, charleston, ritmo in sospensione poi doppiato da una chitarra elettrica su nota lunga, si deve risolvere in qualche modo – ma astutamente c’è qualche battuta in più rispetto alla norma, a straniare ulteriormente l’effetto. Il punto di rottura è lo stop & go sul quale entra la voce, un incipit di melodia celestiale che recita: If I kiss where it’s sore / Will you feel better / Will you feel anything at all. Ecco, potrebbe essere quello il momento in cui scoprirete di essere caduti nella trappola: siete irrimediabilmente innamorati di Regina, ad aspettare che vi dia “un bacio dove fa la bua”.

Come Into My World
La particolarità, il valore stesso della musica di Regina Spektor è un perenne gioco di contrasti. È musica pop apparentemente orecchiabile, ma che sa rivelare all’occorrenza stramberie inconsuete. È di chiara derivazione anglosassone, ma lambisce territori e culture lontanissimi. A volte appare maledettamente seria, ma poi scherza, punzecchia, ironizza. E poi ancora, sembra essere pregna di sentimentalismo un po’ kitsch, ingenuo e fanciullesco, per poi rivelare profondità di pensiero e riflessioni per nulla banali.
Questo concentrato di conflitti è la caratteristica che si impone prepotentemente in “Begin To Hope”, il quarto album nonché quello della svolta, che, pubblicato dalla Sire nel 2006, segna l’inizio di un nuovo sound, ancora ben radicato nel minimalismo degli esordi ma anche capace di un respiro e di una capacità di espansione che lo porta a farsi apprezzare dal mainstream, senza che nessuno parli di tradimento delle origini (a dire il vero, già il precedente “Soviet Kitsch” aveva beneficiato di una costruzione più accurata, ma non si era spinto altrettanto lontano). Un raro caso in cui la produzione di una major (in questo caso firmata da David Kahne, coadiuvato dalla stessa Spektor) apre nuovi orizzonti alla musica, invece di chiuderla in schemi prevedibili.
Di fatto, l’album è pressoché perfetto, una sorta di messa a fuoco di tutte le potenzialità di Regina e il passaggio a un livello superiore. La già citata Better è in effetti un’anomalia quasi assoluta nel suo repertorio, con quel profumo così indie, la batteria in evidenza e soprattutto l’uso esplicito della chitarra elettrica – non è la primissima volta, ce n’era già stato un esempio isolato quale Your Honor in “Soviet Kitsch” – e che trova poi un contraltare in That Time, pezzo che è davvero un classico indie rock per voce e sei corde, pare quasi di sentire i Beat Happening. Per capire meglio la portata di questa piccola rivoluzione, dobbiamo fare un passo indietro, di quasi dieci anni. Ai tempi in cui Regina era sola con il suo pianoforte a fare la gavetta per i locali dell’East Village. [...]

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