Ritorni al passato
Ritorni al passato
di Maurizio Bianchini

[nell'immagine: Kent Haruf]

Ogni cosa è il passato di un’altra cosa e il futuro di un’altra ancora.
E questo è quel che chiamiamo vita.
B. Russell

Cosa spinge un’editoria che pubblica in un solo mese i romanzi che sarebbero usciti, fino a qualche decennio fa, in un anno intero, a riscoprirne tanti passati al loro tempo inosservati o finiti presto nel dimenticatoio? La fame di qualcosa o solo il richiamo del vintage? Le dimensioni e la frequenza stessa dei ‘ritorni al passato’ parrebbero di per sé capi d’accusa contro quel che passa il convento narrativo, e però non si può dire che i titoli ripescati mettano in ombra gli ultimi romanzi di Ford o della Robinson. Ma così è, e tanto vale prenderne atto. Il tempo di rimettere sullo scaffale i primi arrivati, da Yates a John E. Williams, e altri apporti dal Limbo dei Dimenticati – Ring Lardner, Richard Stern, Kent Haruf, Thomas Williams, Lucia Berlin – son pronti a rinfoltire le fila.
A parte l’essere finiti per caso nella stessa onda di risacca, si tratta in realtà di autori non legati da grandi parentele ideologiche, semmai da tratti sociologici, anche piuttosto minori, come la comune appartenenza (escluso Lardner, che arriva da un’altra era e può esibire una scintillante biografia da star dei Ruggenti Anni Venti) al comparto produttivo dei professori di ‘scrittura creativa’. Ma Kent Haruf e Lucia Berlin ci sono arrivati dal sentiero ‘proletario’ dei Fante e dei Bukowski, scarpinando prima per i mestieri più diversi, e, più in generale, è dal grembo accademico che nel bene e nel male provengono quasi tutti i migliori scrittori americani a partire dagli anni Cinquanta –Mailer, Updike Franzen, le eccezioni che vengono in mente. Lardner e Stern hanno goduto del traino di icone letterarie come Salinger (che nel Giovane Holden fa dire al protagonista “my favourite author is my brother D.B. and my next favourite is Ring Lardner”) e Philip Roth (del quale Stern, collega più anziano di Università a Chicago, fu il primo mentore). Kent Haruf ha potuto contare sulla breccia aperta da John E. Williams, che a sua volta si è giovato di quella aperta da Yates, campioni l’uno e l’altro di uno scabro e disilluso realismo in bianco e nero messo sempre più in ombra, e cancellato infine, nel passaggio dagli anni Cinquanta al decennio successivo, dal realismo in technicolor dei Bellow, Updike e Roth. Lucia Berlin, benché non si possa definire certo ‘femminista’, proviene dallo scavo nelle miniere a cielo aperto della letteratura ‘al femminile’, che, come quella sudamericana, va avanti ormai da tempo. I capelli di Harold Roux di Thomas Williams deve invece la sua riscoperta all’ammirazione sconfinata di Stephen King e alla devozione di John Irving e Alice McDermott, dei quali l’autore è stato professore di scrittura. […]

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