ROBERT OWENS
ROBERT OWENS
di Christian Zingales

Un uomo la cui voce significa house music. In occasione dell’uscita della preziosa antologia “Love Will Find Its Way” lo abbiamo intervistato.

Tanti se lo ricorderanno per la collaborazione all’ultimo album di Photek, dove ha cantato Can’t Come Down e il fortunato singolo Mine To Give, ma i più appassionati sapranno che Robert Owens è da sempre la voce della musica house. Non solo perché è la voce che più ha caratterizzato il genere - a dimostrarlo “Love Will Find Its Way - The Best Of Robert Owens”, il doppio CD nei negozi in questi giorni - ma anche perché è quella che fin dall’inizio sembra essere più caratterizzata dal genere.
Robert è lì fin dall’inizio, in quella Chicago metà anni ’80 tanto evocata, e da subito i suoi discorsi sembrano essere gli stessi dell’house. A differenza delle tante voci dal retroterra disco soul - soprattutto newyorchesi - che si presteranno all’house diremmo per ragioni di lavoro caratterizzando tutto il filone garage, Owens si scopre cantante mentre l’house si scopre house. Nelle stanze magnetiche di quella Chicago. “In quel periodo lavoravo con due gruppi allo stesso tempo, i Fingers Inc. e gli It. Nei primi, che erano una creatura di Larry Heard, c’eravamo io e Ron Wilson. I secondi inizialmente erano formati da me e da Harri Dennis, poi è arrivato Chip E come programmatore e solo in seguito sono diventati una formazione guidata da Harri e da Larry Heard. È stata una casualità diventare un cantante, già nei primi anni ’80 facevo il DJ e Harri mi aveva chiesto se mi andava di collaborare con lui dandogli qualche dritta su quello che sarebbe potuto andare nei club. Ero una sorta di consulente musicale. Ho iniziato quindi a frequentare lo studio di registrazione e il mio ruolo era quello di consigliare il groove giusto. Poi un giorno in studio durante una jam per l’entusiasmo mi sono rivolto a Dennis in maniera molto euforica, l’ho chiamato cantando, e Chip E che mi ha sentito dalla cabina di regia mi ha bloccato e ha iniziato a insistere perché registrassi subito delle parti cantate. Io ripetevo che non sapevo cantare e lui mi ripeteva di registrare. Alla fine ha avuto ragione lui. Sono diventato il cantante degli It e allo stesso tempo ho inciso il primo pezzo coi Fingers Inc., Mysteries Of Love. Da lì è partito tutto. Subito dopo è venuta Bring Down The Walls, poi Can You Feel It e in men che non si dica ci siamo trovati a esibirci al Paradise Garage di New York. Era buffo perché capitava che nella stessa sera dovessi cantare sia con gli It che coi Fingers Inc., coi primi cantavo Donnie e coi secondi Mysteries Of Love, perché tutti e due i pezzi erano molto amati a New York”.

Robert è a Milano per registrare un pezzo con il duo deep-house/garage Harley & Muscle e per l’occasione gli viene dedicata una serata in Pergola. Per incongruenze spazio-temporali non riusciamo a esserci ma possiamo parlargli telefonicamente. Anche solo via cavo, parlare con quella voce, dolce e severa, asciutta e affusolata, è un’emozione. La magia della voce di Robert è sempre stata nei contrasti, nei chiaroscuri, in quei giochi di sfumature che hanno tanto a cuore le zone d’ombra. Lo stesso si può dire per l’house. Entrambe cose illuminate da quel calore freddo che a molti fa paura, che in tanti non capiscono. Cose di automaticità e luccicanza: l’house risponde a un secolo di duelli tra uomo e musica con l’eco indeperibile della sensualità del suono, Owens risponde al dolore con una voce erotica e mutante che sa collocarsi con grazia indescrivibile nella desolazione e nell’incanto. Una voce che sa farsi carico del bene e del male: “Puoi sentire il dolore quando canto, lo so. Sicuramente essere cresciuto in una città come Chicago ha contribuito a formare questa tensione emotiva, poi è questione di sensibilità, che è qualcosa che va al di là della provenienza. Dopo le magnifiche esperienze coi Fingers Inc. e con gli It di cui ti parlavo ho deciso di camminare da solo e di essere cittadino del mondo. È da una decina di anni che giro moltissimo cantando e facendo il DJ e mi trovo quotidianamente a contatto con tanta gente. E’ qualcosa che ti influenza e che ti stimola molto, da tutti i punti di vista. Guardare da vicino tante persone diverse da te ti aiuta a essere meno chiuso e provinciale, e ti posso dire che riuscire a rendere felici degli esseri umani anche solo per un paio d’ore, come può capitarmi quando mi esibisco in un party, è qualcosa che mi dà la forza per andare avanti. Perché c’è gente che ha una vita serena ma c’è anche tantissimo dolore nel mondo”. Vivi a Londra ora? “Sì, tra Londra e Chicago, ma principalmente a Londra, perché la maggior parte della mia attività si svolge in Europa.” Photek dice che per anni ha sperato un giorno di riuscire a contattarti per una collaborazione e infine ha scoperto che eravate praticamente vicini di casa, nello stesso quartiere, a Londra… “Sì, è vero. È un ottimo produttore, si è creato un bel rapporto lavorando insieme. In questi giorni sto suonando il promo di una nuova collaborazione con Photek, e sembra che il pubblico stia apprezzando molto. Non so ancora che collocazione avrà, lui ora si è trasferito in California, dove sta lavorando a del nuovo materiale. È probabile che se ne parli per il suo nuovo album.”
Che rapporto hai con Chicago ora? “Ho dei legami molto forti con la città. C’è la probabilità che inizi una collaborazione con una radio di Chicago per fare un programma di musica house nello stile dei vecchi Hot Mix. Con Larry Heard siamo sempre in contatto. Ci sentiamo spesso telefonicamente. Da qualche tempo ho iniziato a fare qualche esperimento musicale, a cercare di produrre qualcosa da solo. Fin dall’inizio sono sempre stato compositore e cantante, ma non ho mai prodotto musica. Allora ho chiesto il parere di Larry per alcune cose, e ne è nata una nuova collaborazione, You’ll Never Know, che è presente in “Love Will Find Its Way.” Della vecchia guardia poi mi capita di sentire K-Alexy, che è uno dei grandi produttori di Chicago che non hanno avuto il giusto riconoscimento. Penso che faremo qualcosa insieme. Ho pronta per lui una canzone, una canzone molto intensa”. Inevitabile chiedere a Robert della Chicago della vecchia scuola, quella dei suoi esordi: “Il lato più magico di quel periodo è che tutti si conoscevano e ancora si rispettavano. Era come una grande famiglia, ancora non c’erano rancori e gelosie. Parlo della prima fase della scena house di Chicago, perché non appena la cosa ha avuto un minimo di successo e etichette come la Trax e la DJ International hanno iniziato a essere riconoscibili ognuno ha cercato di fregare l’altro. È per questo che la scena è andata in crisi e da allora sopravvive tra mille difficoltà. Se solo fosse rimasta l’unione e il supporto reciproco degli inizi la Trax e la DJ International esisterebbero ancora e sarebbero degli imperi, e tanti produttori sarebbero esplosi.”
Come ricordava, Robert prima ancora di essere cantante nasce come DJ e non ha mai smesso di avere passione per quest’attività: “Sono un DJ piuttosto nomade. Sto tornando ora da un tour abbastanza particolare, date a Parigi, in Russia, in Croazia e in Sicilia. Quando compro i dischi ricerco sempre la varietà, non mi interessa chi ha fatto quel pezzo, tanto meno mi interessa seguire quelli che sono considerati grossi produttori. Suono di tutto, cantati e strumentali, qualsiasi cosa con un solo scopo: riuscire a raccontare una storia, trasportare il pubblico in un viaggio.” Senz’altro incuriosisce sapere quali sono le voci house preferite dalla voce house per eccellenza: “Ci sono due voci femminili che adoro, Su Su Bobien e Ann Nesby, e tra quelle maschili mi piace molto Kenny Bobien.” La caratteristica del modus operandi di Robert è sempre stata la generosità. Tante collaborazioni, dove c’è passione e rispetto per la sua arte: “Continuo a essere contattato dai produttori più diversi. Per dirtene una a breve canterò in un pezzo prodotto da Youth e da Guy Pratt, il primo ex Killing Joke e il secondo ex Pink Floyd, e un’altra collaborazione è prevista con Marius De Vries. Per me è sempre un onore, anche perché ho la possibilità di arricchirmi musicalmente condividendo background diversi dal mio”.

Sono tante le collaborazioni di Robert Owens. O meglio sono tanti i produttori che hanno prodotto le sue canzoni. Da Larry Heard a David Morales, da Frankie Knuckles a Arthur Baker, dai London Elektricity ai Block 16 passando per Photek e Carl Cox. E Love Will Find Its Way non è il primo album per lui. Due album classici come Rhythms In Me (Island, ‘90) e The Statement (Musical Directions, ‘94) lo hanno preceduto. E sono numerosissime le gemme incise su decine di 12” persi nel tempo. Ma alcuni momenti hanno evidenziato quella reciprocità tra il percorso di Owens e quello della musica house più di altri. I classici. Le canzoni che hanno fermato il tempo e che dell’house hanno svelato l’umoralità più profonda. Sono tutti inclusi nei due CD di “Love Will Find Its Way.”
Bring Down The Walls, uscita nel 1986 per la Trax è la seconda collaborazione con Larry Heard dopo Mysteries Of Love. Ascoltatela e tra le maglie del suo minimalismo sexy scoprirete il momento in cui scema il concetto di uomo ed emerge lo spirito del jack. Non il primo pezzo house pubblicato in assoluto ma la vera nascita dell’house. Della versione cantata di Can You Feel It (sempre con Larry Heard) e di Tears e I’ll Be Your Friend ci parla lo stesso Robert: “Can You Feel It è nata come qualcosa di fortemente spirituale. Inizialmente è uscita la versione strumentale, ma io ho registrato da subito la versione cantata, che è stata pubblicata sulla seconda stampa del disco, con in copertina la foto di Martin Luther King e dentro la versione mia e quella con lo storico discorso I Have A Dream registrato sopra la base. Tutti i ricavati del disco erano devoluti alla Martin Luther King Foundation di Atlanta, è stato un segno di rispetto importante per le nostre radici. Mi dispiace solo che nel tempo la mia versione di Can You Feel It sia oggi poco conosciuta rispetto ad altri miei lavori, è una delle canzoni a cui tengo di più ed è stato uno dei primi pezzi a cui ho pensato quando ho dovuto compilare la scaletta di “Love Will Find Its Way.” Tears è nata in un momento molto particolare. Avevo appena lasciato il lavoro per dedicarmi completamente alla musica, ma era stata una scelta sofferta. Lavoravo in un ospedale, e mi avevano posto l’ultimatum: o il lavoro o la musica. Anche perché sempre più spesso mi capitava di avere delle serate e quindi dovevo assentarmi all’ultimo momento. Fatta quella decisione, ho passato un periodo di grande smarrimento e confusione, non sapevo se avevo fatto la scelta giusta. Sapevo di avere una forza che mi bruciava dentro ma allo stesso tempo non sapevo se sarei riuscito a farla emergere. Quando ero al massimo della depressione, mi hanno detto che Frankie Knuckles mi cercava. Uno spiraglio e una lusinga per me essere contattato da una così grande leggenda. Frankie aveva appena fatto questo pezzo strumentale con Satoshie Tomiie, un giapponese che era un grande fan dei Fingers Inc., mi hanno invitato una sera in un club e hanno suonato questa base. Il giorno dopo ci siamo sentiti al telefono con Frankie e gli ho cantato il pezzo. Mi ha prenotato subito un aereo per New York e sono andato a registrarla. Un altro scenario per I’ll Be Your Friend. Dopo aver fatto Tears, tramite Satoshie ero in ottimi rapporti con tutta la squadra della Def Mix, l’etichetta di David Morales. Con David abbiamo deciso di fare un pezzo insieme. Ma in studio le cose andavano male, non ci siamo trovati ed è nato un battibecco. La tensione era molto alta e me ne stavo andando quando d’istinto ho iniziato a ripetere “I’ll be your friend/until the end”. David ha iniziato a registrare senza dire una parola e ha fatto partire una base. Il pezzo ha preso forma senza che ce ne rendessimo conto. Un secondo prima stavamo litigando. Una registrazione praticamente live, a completare il pezzo solo delle sovraincisioni di tastiera di Satoshie e Eric Kupper. Qualcosa di magico. La sera alla Sound Factory già Frankie Knuckles la suonava e mentre scorreva il pezzo David mi indicava a tutti i suoi amici, dicendo che ero io il cantante. Eravamo felicissimi di quel pezzo ma non prevedevamo che sarebbe diventato così importante. Poi Paul Oakenfold l’ha sentita a Londra e l’ha licenziata sulla sua Perfecto, ed è stata anche un enorme successo. Comunque quando ripenso a I’ll Be Your Friend, penso alla forza della musica e alla forza dell’amore che c’è in ogni uomo. So che può suonare retorico, ma in quel momento, quando litigavamo con David, potevo abbandonare lo studio, e infatti stavo per farlo, e invece…E poi è un pezzo a cui ho imparato a dare un altro valore. E cioè quanto sia giusto stare con la gente a cui veramente vuoi bene, e quanto sia importante non perdere tempo prezioso della tua vita con chi magari si dice tuo amico ma in realtà cerca di ostacolarti e di ridimensionare la tua personalità”.

[pubblicato su Blow Up #46 – Marzo 2002]
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