Roxy Music
Roxy Music
di Christian Zingales

Dal dandy mafia-friendly anni ’50 all’umanoide tigrato Tarzan passando per il flashato policromatico in gomma e il circo bimbo con space paillettes. In grande spolvero di romance da dopobomba, rocker decadance e late nights con cocktail novecenteschi e improvvisi cambi di scena. Zoomando era un rifacimento rimodellamento del rock; un remix del rock: un re-rock. Era Londra e i ’70 iniziavano a ruotare la loro coda di pavone. Erano i Roxy Music dei primi due album. Se volessimo trasporre marvelianamente la trimurti glam londinese di inizio ’70 Ziggy Stardust sarebbe Thor (parliamo pur sempre di una divinità caduta), Marc Bolan non potrebbe essere che Ghost Rider, mentre i Roxy Music arriverebbero come un supergruppo dove Bryan Ferry incarnerebbe il gommoso leaderismo di un Reed Richards dei Fantastici 4, Brian Eno sfreccerebbe ovviamente da argenteo Silver Surfer, Phil Manzanera un Dr. Strange con tanto di mantello e Andy MacKay sirenetto Submariner. Il giochino non arriva a caso se si considera che questi artisti apparivano quasi cinquant’anni fa come dei veri e propri mutanti armati di gomme e colori e luci e colpi di teatro sferzando una scena rock che stava attraversando una sua transizione tra i voli pindarici del progressive, cascami cantautorali e un’incombente mancanza di direzione. E invece ecco questi alieni mascherati soprattutto da tanta, nuova energia creativa, che scatenano elettricità sparano bang bang elettronici e anticipano tutto il post-rock che da punk e new-wave rifarà i connotati e rimodellerà le forme del genere prefigurando poi nello specifico tutte le applicazioni di pop sintetico e gli scenografici romanticismi ‘80. Re-make/Re-model, come da ariete roxyano, incipit shock del loro omonimo album di debutto, di cui in questi giorni esce una versione Deluxe di cui diremo. Tutto comincia con Ferry. Provenienza working class poi ostentata, studi universitari, ex insegnante di ceramica in un istituto femminile e apprendista pittore con ambizioni musicali (fa girare una biografia dove cita Duchamp e Warhol come influenze “sonore”), punta il suo sogno facendo un’audizione per sostituire Greg Lake al microfono nei King Crimson. Robert Fripp e Pete Sinfield lo ritengono inappropriato per la loro corazzata ma ne caldeggiano le doti canore alla EG Records affinché abbia un contratto per un suo progetto. Che prima della fine del 1970 si materializza con la ragione sociale Roxy, ad evocare teatri e Novecento e rock sexy quindi rocky e roxy. C’era già una band americana con quel nome però, quindi: Roxy Music. Raggiungono Ferry, che oltre a cantare suona le tastiere, Phil Manzanera alla chitarra, Andy MacKay a sax e oboe, Brian Eno che arriva da non musicista e tecnico con retroterra arty incaricato di occuparsi della registrazione e poi invece è riconosciuto per quel mostro che sta per diventare e viene piazzato a VCS3, nastri Revox e cori, Paul Thompson alla batteria, mentre al basso si alternano nei primi due album Graham Simpson, Rik Kenton e John Porter. […]

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