Strade perdute: viaggio tra i film incompiuti, perduti, maledetti
Strade perdute: viaggio tra i film incompiuti, perduti, maledetti
di Roberto Curti

[nell'immagine: Jerry Lewis in The Day The Clown Cried]

Probabilmente su questi torridi lidi la notizia è passata sottotraccia, tra l’invettiva di turno del becerume leghista e le elucubrazioni di economisti per caso (categoria che va a far compagnia a quelle non meno affollate dei commissari tecnici, opinionisti politici, critici cinematografici, musicali e gastronomici, meteorologi e tuttologi assortiti), ma pare che di qui a dieci anni, sempre che tutto vada bene, si potrà finalmente vedere The Day the Clown Cried. Lo scorso agosto, alla soglia dei 90 anni, Jerry Lewis ha donato alla Library of Congress l’unica copia esistente del film che teneva chiusa nel cassetto da decenni, e che solo pochi anni or sono giurava e spergiurava di essere fermamente intenzionato a portare con sé nella tomba. Con una clausola-capestro: l’opera non potrà essere proiettata in pubblico prima di dieci anni, si presume per non dover essere il suo autore in vita al momento dell’infausto evento. Ora, che The Day the Clown Cried sia brutto, o bello, o entrambe le cose, è il minore dei problemi. Piuttosto, è l’idea in sé di una pellicola ripescata dal limbo quando nessuno ormai ci sperava più, a stimolare le sinapsi.
L’illusione del film come risultato della creazione di un artefice unico, coerente e infallibile è una superstizione che fatichiamo a toglierci di dosso: di fatto, la storia del cinema come noi la conosciamo è il risultato di una spietata opera di selezione innaturale, dove vige la legge del più forte, del più furbo, del più stronzo. Per ogni film fatto, sono forse dieci cento mille quelli stroncati sul nascere, abbandonati a metà strada, rinchiusi in qualche magazzino a un passo dalla sospirata uscita, e lasciati a prendere polvere per decenni. Per mille motivi, iniziando ovviamente da quello economico: quando l’uomo con la macchina da presa incontra l’uomo col portafoglio, a vincere è sempre quest’ultimo. Ma spesso ci si mettono la sfortuna, le avversità, la censura, i ripensamenti e le incertezze dell’autore, le beffe del caso. Per rimanere in casa nostra, si veda la minuziosa ricognizione di Gian Piero Brunetta, L’isola che non c’è. Viaggi nel cinema italiano che non vedremo mai, pubblicata di recente dalla Cineteca di Bologna, che riunisce una filmografia di quasi 1500 titoli naufragati per le ragioni più disparate. […]

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