Terry Allen
Terry Allen
di Stefano I. Bianchi

Sarebbe un grossolano errore considerare Terry Allen semplicemente ‘un musicista country’. Beninteso, lo è, ma ha inciso anche materiali che se Blow Up all’epoca fosse esistito avrebbe inserito negli Altrisuoni o direttamente in Collateral. Pittore, scultore, grafico, poeta, autore per il teatro e per la radio, performer multimediale (film, video, installazioni) e naturalmente musicista, Terry Allen, classe 1943 da Wichita, Kansas, ma cresciuto a Lubbock, Texas, e attualmente residente a Santa Fe, New Mexico, è quel che si definisce un renaissance man, un ‘uomo rinascimentale’ capace di misurarsi in molte diverse arti con eguali e sempre rilevanti se non eccellenti e persino straordinari risultati. Quella che interessa noi in questo contesto, naturalmente, è la musica, ma si sappia che l’uomo fa musica country usando gli stessi accorgimenti di un artista concettuale. Qualche nota biografica.
Come detto, Terry nasce a Wichita nel 1943 ma quando è ancora molto piccolo la famiglia si trasferisce a Lubbock, città che nel 1936 ha dato i natali a Buddy Holly. Il giovanotto studia alla Monterey High School, dove incontra e fa amicizia con Butch Hancock, Jimmie Dale Gilmore e Joe Ely, giusto per dire che razza di congiunture astrali si verifichino in quel posto: il problema è che si tratta di un luogo asfissiante, un buco di culo di mondo dove non accade assolutamente niente. Mmmh. A diciassette anni Terry riesce a fuggire da quell’angosciante, sterminata piattezza geografica e mentale e si trasferisce a Los Angeles, dove inizia a frequentare il Chouinard Art Institute. «Ero un lettore da armadio», dirà in un’intervista, «vale a dire uno che leggeva di nascosto perché nel West Texas chiunque, specialmente i maschi, non leggeva. Giocavi con la palla o facevi qualche attività fisica ma non potevi leggere. Leggere era per femminucce e froci o aveva comunque connotati decisamente negativi. Una cosa molto diffusa, negli anni ’50, soprattutto nelle zone rurali. Il Chouinard fu il primo posto in cui trovai persone che la vedevano come me, gente che per una ragione o per l’altra si sentiva emarginata rispetto al proprio contesto. Non appena seppi che esisteva questo istituto mi ci fiondai perché avevo un disperato bisogno di fuggire da Lubbock, fuggire dal Texas, fuggire dalla mia vita.» […]

…segue per 14 pagine nel numero 251 di Blow Up, in edicola ad aprile 2019

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