The Polyphonic Spree
The Polyphonic Spree
di Piergiorgio Pardo

SE CI SI RIFLETTE un attimo l'occasione è quella, tutto sommato attesa, del grande ritorno. Perché, se si fa l'eccezione del disco di cover natalizie, era dal 2007 di “Fragile Army” che non si ascoltavano nuovi brani di De Laughter e ampia compagnia. Della sostanza artistica e delle novità rappresentate dal fresco di stampa “Yes It's True” parleremo nella sezione delle recensioni e, a dirla tutta, ci vorrebbe anche un “Visti e sentiti” per misurare a pieno l'efficacia e la natura di quest'ultima declinazione.
Per un semplice motivo: e cioè che tra tutte le realtà in azione nel panorama indie pop i Polyphonic Spree sono l'unico progetto che porta alle estreme e più mature conseguenze l'intuizione, già abbozzata a loro tempo dai Broken Social Scene, di concepire la musica registrata su disco come la causa scatenante di un collettivo di artisti al cui effetto sarà poi affidata la resa dal vivo delle canzoni. In poche parole i dischi del grande successo dei Polyphonic, “The Beginning Stages of ... The Polyphonic Spree” (2002) e “Together We're Heavy” (2004), rappresentavano altrettante colonne sonore di una sorta di meta-musical in versione concerto, complessivamente pensato, progettato, immaginato, persino sognato, prima di venire divulgato nelle forme coartatamente separate del supporto discografico e del tour. Forse per questo i Polyphonic, intanto che la catena economica Sansbury's rendeva la loro Light and Day / Reach For the Sun la regina degli spot pubblicitari in Inghilterra e il cinema indipendente, il mondo delle Onlus, del sistema commerciale (leggi Adidas, Apple), persino della cultura di sistema (leggi la cerimonia di premiazione del Nobel per la Pace) negli anni seguitavano a corteggiarli, hanno dato con continuità segni tangibili della loro presenza nello show business, senza però concretizzarli con frequenza adeguata in nuove uscite discografiche. Era come se lo spettacolo collettivo, multicodico, simbolico, insito in quei primi due dischi prendesse sempre nuova forma, rinnovandosi come atto creativo nel tempo, assumendo sviluppi e possibilità e non ci fosse quindi spazio adeguato per eloqui altri. [...]

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