THE ROLLING STONES
THE ROLLING STONES
Riccardo Bertoncelli

Storia del leggendario film dei ROLLING STONES "Charlie Is My Darling", progettato con straordinario tempismo e accantonato con incoscienza. Esce in questi giorni con un nuovo montaggio e il profumo di un’epoca irripetibile - l’innocente rock del 1965

[foto Irish Photo Archive (www.irishphotoarchive.ie)]

L’ESTATE 1965 fu per i Rolling Stones un meraviglioso incubo. Chi aveva pronosticato un loro rapido burn out dopo l’esplosione del 1963 assisté sbalordito alla girandola di concerti, registrazioni, progetti speciali dei cinque più il manager storico, Andrew Loog Oldham, più il nuovo consigliori finanziario, Allen Klein. Cinque più due sette, anzi otto, perché non va dimenticato Ian “Stu” Stewart, il sesto Rolling mai entrato ufficialmente in gruppo per demeriti estetici, diciamo così, non certo musicali. Ad ogni modo quei “cinque giovanotti con acconciature da far sembrare calvi i Beatles” erano ancora in pista e ballavano freneticamente, e le Cassandre mica avevano cambiato giudizio: fanno così per arraffare tutto il possibile, perché la festa sta per finire – ma lo sussurravano soltanto, e in pochi sentivano perché la musica era alta, le grida dei fans anche di più, le iperboli delle riviste un pinnacolo che grattava il cielo.
Avevano cominciato a giugno con un tour di Gran Bretagna e Scandinavia, lasciandosi dietro una scia di sedie fracassate, disordini, isteria. Stesse scene un mese più tardi, altro mini tour britannico, e nei ritagli di tempo riunioni delicate della Rolling Stones Ltd, Oldham che fonda la sua Immediate Records, una chiacchierata vacanza di Brian in Marocco e perfino un’udienza in tribunale per rispondere di “comportamento ingiurioso e rissa” - cinque sterline di ammenda, giusto il prologo della telenovela “la Legge vs. The Rolling Stones”. Il 30 luglio esce negli Stati Uniti un nuovo album, Out Of Our Heads, in cui cominciano ad affacciarsi canzoni originali in una scaletta che trabocca di cover soul e blues. “Jagger e Richards cominciano a sgranchire i muscoli della loro creatività,” scrive un giornalista canadese che vede in lungo. “Finora erano rimasti nella categoria dei pesi piuma; Satisfaction e The Last Time sono pezzi da pesi massimi.”
Satisfaction, appunto. E’ la colonna sonora di quella estate, lanciata in America a giugno e pubblicata in Gran Bretagna solo due mesi più tardi; perché oggi è facile dire che quella canzone è “la quintessenza del riff rock anni Sessanta”, che su un’isola deserta milioni di ragazzi ed ex ragazzi porterebbero quello e pochi altri 45 giri ma anche i giganti nascono bambini e nella culla non si distinguono bene i tratti. In parole povere, gli Stones non così entusiasti di quel Jagger-Richards con distorsore, lo vedono come un brano da lato B o nascosto tra le pieghe di un album, e al momento della votazione per scegliere il nuovo singolo sono proprio gli autori a votare contro. Per fortuna gli altri hanno la maggioranza, insistono, prevalgono. Satisfaction diventa la sirena di quell’estate, il biglietto da visita dei nuovi Stones sempre più maliziosi e smaliziati, il punto d’appoggio per sollevare se non il mondo rock almeno gli ingaggi; bastano ancora 1000 sterline per portare in scena quelle “grandi meraviglie bianche”. […]


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