Thomas Pynchon.
Thomas Pynchon.
di Umberto Rossi

USCITO GIÀ nel 2009 per i tipi di Rizzoli, Contro il giorno (pubblicato negli Stati Uniti nel 2006) riesce quest’anno con la stessa traduzione per Einaudi. Continua la lenta trasmigrazione della narrativa di quello che è probabilmente il più importante romanziere statunitense vivente (dipartiti Roth e Morrison) verso la casa editrice dello struzzo, che – per me inspiegabilmente – snobbò Pynchon al suo primo apparire in Italia (parliamo del 1965, quando Bompiani portò in libreria il romanzo d’esordio del nostro, V.). Un autore, l’oggidì ottantatreenne Thomas Ruggles Pynchon, nativo di Long Island, che da noi non ha mai raggiunto la popolarità e lo status di cui gode in patria e in qualche altro paese (come il Regno Unito, dove tra i suoi cultori si annovera p.es. Alan Moore…).
Non a caso Maurizio Bianchini, autore di un bell’articolo sulla Trilogia californiana (L’incanto del lotto 49, Vineland e Vizio di forma) uscito sul numero 204 di Blowup (maggio 2015), definisce Pynchon “autore più citato che letto”. Questo si deve a vari motivi: un po’ il vezzo italico di parlare di cose che non si sono lette basandosi sul sentito dire (diffuso anche tra i critici militanti…); un po’ la fama di Pynchon come autore difficile, criptico, incomprensibile, complicato, snervante (fama derivante quasi sempre dal sentito dire, quasi mai dall’aver letto); un po’ il fatto che le quattro opere maggiori, e cioè V., L’arcobaleno della gravità, Mason & Dixon e Contro il giorno sono tomi voluminosi, con l’ultimo della serie che già in inglese supera le mille pagine – e se resti a casa a leggere questi colossi poi ti perdi l’apericena, la presentazione, la festa, la cena con amici e conoscenti… Ma che siamo matti, vogliamo fare i critici, gli scrittori, gli uomini e donne di cultura e poi restiamo a casa a leggere? Non sia mai!
Aggiungiamo che nelle nostre università i corsi su Pynchon sono rari, e se proprio si mette qualcosa in programma la scelta cade sempre sul più breve dei suoi romanzi, quasi un racconto lungo, L’incanto del lotto 49; che nelle scuole di scrittori americani se ne fanno pochi e non sempre ben presentati; infine che la sua narrativa è associata all’aggettivo “postmoderno” che da noi, a causa di certe farneticazioni intellettuali degli Anni Ottanta Craxiani, a un certo punto è diventato tabù o come minimo sospetto. Infine, nessuna delle case editrici che ha avuto Pynchon in catalogo sembra aver trovato un modo per avvicinarlo ai lettori italiani; fors’anche perché piacciono gli scrittori presenzialisti, che vanno in TV, che vanno ai festival, che si fanno vedere, mentre Tom non rilascia interviste, non si manifesta, e se proprio appare è disegnato in un episodio dei Simpsons e anche lì col sacchetto di carta in testa (anche se in originale la voce è la sua). […]

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