Tujiko Noriko
Tujiko Noriko
di Paolo Bertoni

[nell’immagine Tujiko Noriko, foto di Chloé Fabre]

IL DEBUTTO per la connazionale Niton, “Keshou To Heitai (Make-Up And Soldier)”, è datato 2000, il minimalismo toy music che rimanda ad infantili ludi di I Love You e che Yureei Kikou, amabilmente, ma con qualche inquietante striatura, bissa più tardi, è un incipit che si innalza sin dal titolo ad impegno poetico in solco romantico. La stupenda Anti Newton matura variegandosi di rumori metallici, loop d'archi e squarci downtempo, un sospetto di qualche sedimento perpetuante aromi della musica tradizionale giapponese è avvertibile in Matsuri, ma ad orecchie occidentali potrebbe rintracciarsi anche in Aru Chouten e Komoriuta No Mukou Gawa, la circolarità pianistica che nella prima parte sminuisce la sua portata sentimentale con l'insofferenza di indifferenti percussioni di Himitsu, la disarmante dolcezza di Pop Na Skirt, le tentazioni operistiche di Yaban Na Toumei e le tendenze suadentemente arty, con sostanze jazz, dell'acustica Hyper Liquid Dance, sono radunate in un album che appare concepito senza preoccuparsi dell'eventualità d'esportarlo fuori dall'isola natia e da cui forse non riesce a trasparire come ricercata scelta la volontà di stanziare nel guado tra un'attitudinale sperimentazione e un'istintività pop che diverrà, in maniera sempre più raffinata, la ricorrente peculiarità dei dischi di Noriko, da sola o in compagnia, sino ad oggi: “Credo che il mio primo approccio con la musica, a parte una naturale attrazione per il pianoforte che penso di aver avvertito sin da quando avevo tre anni, è stato con il registratore a cassette. Gli strumenti giocattolo erano graziosi ma praticamente inutili, troppo limitanti per me, con il registratore invece mi divertivo davvero. Non pensavo certo di fare musica in quel periodo, ero troppo piccola, anzi il desiderio di cimentarmi nel costruire delle canzoni è arrivato molto dopo ed è cresciuto poco a poco, lentamente a tal punto che potrei collocarlo in un'ampia fascia tra i quindici e i ventidue anni. Alla fine ho iniziato veramente nel '99, quando ho cominciato a provare con un sintetizzatore, un campionatore ed il computer. Nelle mie intenzioni, nel primo album, forse solo Matsuri ha dei riferimenti alla musica tradizionale, sono sicura che nessun giapponese avverta qualcosa di tradizionale negli altri brani del disco. I pezzi sono più o meno dello stesso periodo di quelli di “Shojo Toshi”, li ho realizzati molto in fretta, faccio fatica a riconoscerlo come un mio disco.”
La contemporaneità compositiva dei brani di “Shojo Toshi però non si avverte, poiché il secondo album, del 2001, sembra afferrare ben altra consapevolezza inserendosi senza traumi, sia pur come emissione atipica, nel catalogo Mego […]

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