XTC
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di Riccardo Bertoncelli

LA VENDETTA è un piatto che si serve freddo. Andy Partridge ci ha messo ventotto anni a scongelarla dalla ghiacciaia della sua mente e ora ha cominciato a metterla in tavola. Ha giusto cominciato, come vedremo, perché l'operazione è lunga e complessa e nasce da un torto subito (secondo i permalosi standard di AP, beninteso) che a sua volta si presenta come un nodo ben aggrovigliato.
Di che si parla? Occorre tornare indietro nel tempo alla metà degli anni '80, quando gli XTC, tanto per cominciare, erano ancora vivi e vegeti e popolari, non la reliquia del passato che oggi sono – un reperto rock simile a certe ruote e stantuffi di primo Novecento del Museo Ferroviario di Swindon. Ho scritto “popolari” ma piano con le parole. Erano un grande gruppo di culto, questo sì, con un fedele stuolo di seguaci, ma solo una volta erano riusciti a entrare nelle zone alte delle classifiche, 1982, English Settlement. In America poi erano sempre stati un grande boh!, fuori dai radar anche dei college, e la cosa infastidiva i capi della Virgin, la loro storica etichetta, che oltreoceano si appoggiavano alla Geffen Records. Al fastidio dei boss gli XTC rispondevano con altrettanti mugugni. Si sentivano trascurati se non mortificati, ritenevano che la casa discografica non sfruttasse appieno il loro potenziale e li facesse lavorare in condizioni sub-creative. Il borbottìo durò anni, anni peraltro indaffarati; nel 1983 uscì Mummer, nel 1984 The Big Express e dodici mesi dopo la straordinaria mutazione di 25 O'Clock, il sogno psichedelico degli XTC trasformatisi in Dukes Of Stratosphear. A quel punto, con grande godimento dei fans ma vendite così così, i responsabili della Virgin e i tre membri del gruppo in quel periodo (i signori Partridge, Moulding e Gregory) decisero uno showdown, per usare un termine western tutt'altro che inopportuno. […]

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