ZU
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di Massimiliano Busti

Tra Ruins e Dr. Nerve: una sezione ritmica furibonda e una coppia di fiati a metà tra improvvisazione e ricerca melodica. “Bromio”, il CD d’esordio degli Zu è stata una delle sorprese arrivate quest’anno dalla musica italiana

Recentemente, all’inizio di novembre, è uscito su Wide Records l’album d’esordio degli Zu, quartetto composto da Massimo Pupillo al basso, Iacopo Battaglia alla batteria, Luca Mai al sax e Roy Paci alla tromba. Bromio mostra un suono maturo e convincente, frutto di oltre due anni di studio e di performances live che hanno aiutato non poco la band a crescere e ad acquisire l’attuale invidiabile compattezza. L’elemento propulsivo della loro musica risiede nella costante irrequietezza della sezione ritmica, che sul complesso incastro fra basso e batteria pone le basi su cui sax e tromba di volta in volta esplodono in corpose improvvisazioni o accennano linee melodiche. Il loro sound a tratti ricorda quello di bands “storiche” quali Doctor Nerve o Ruins ma è comunque individuabile nella loro musica il gusto del tutto personale di coniugare l’energia immediata e diretta di strutture “noise-rock” alla complessità e alla natura poliforme di tracciati para-jazzistici che costituiscono l’asse portante delle loro composizioni. In costante equilibrio fra sensibilità “rock’n’roll” e tensione “avanguardista”, fra estroversione e cerebralità, la reale identità degli Zu è assolutamente sfuggente e proprio per questo suscita interesse. Quella che segue è una breve intervista con Massimo Pupillo e Luca Mai.

Iniziamo a parlare delle origini del gruppo.
M: Zu nasce nel 1997, come conseguenza dello scioglimento dei Gronge. Nel maggio ‘98, grazie all’intervento di Pino Saulo di Radiotre (Audiobox), appare davanti a noi la figura di Roy Paci. Lo scopo di Pino era di far partecipare a un’unica improvvisazione quelli che lui considerava i “terroristi”, cioè noi, Maurizio Martuscello, Roy Paci, Filippo Paolini e Vittorino Curci. Da allora è nata questa passione reciproca con Roy cementata anche dall’amore comune per i Ruins, e dovendo fare loro da spalla in occasione del tour italiano dell’anno scorso, abbiamo pensato di contattare Roy che ci ha chiesto di sentire qualche registrazione del materiale del gruppo e poi dal vivo ha improvvisato sui pezzi. E’ stata un’esperienza positiva e da allora abbiamo deciso di diventare un quartetto.
I vostri brani sono frutto di un lavoro di composizione o di improvvisazione libera?
M: Spesso i pezzi nascono da enormi quantità di registrazioni che riascoltiamo e, successivamente, rielaboriamo. Abbiamo un’idea di improvvisazione abbastanza personale: né la jam rock, né d’altra parte l’improvvisazione di stampo inglese alla Derek Bailey, puramente radicale.
Parlatemi delle vicissitudini che vi hanno condotto alla registrazione dell’ album...
M: Abbiamo innanzitutto mandato un po’ in giro un cd-demo contenente la versione grezza di parte dei brani contenuti in Bromio ottenendo buone risposte non solo da etichette come la Tzadik, Cuneiform e Recommended ma anche da musicisti che noi abbiamo sempre stimato come gli Ex, nel tentativo di ricevere suggerimenti o critiche. Poi ci siamo autofinaziati le registrazioni dell’album vero e proprio che abbiamo inciso a Livorno in uno studio che principalmente si occupa di jazz e musica classica. Il nostro ideale erano i dischi della Impulse degli anni Sessanta: registrazioni con due microfoni su un nastro a due piste... A me piace molto come suona il disco di Mark Hollis, è un capolavoro acustico nonostante ci sia un fruscio incredibile... Cercavamo un certo tipo di suono e ci sembrava opportuno andarlo a trovare in uno studio che fa musica classica con una buona microfonia.
Di seguito abbiamo cercato un’etichetta, anche se non è facile trovare chi possa investire al buio su di te. Per caso il CD è approdato nelle mani di un nostro amico collaboratore della Wide e tutto è andato a buon fine. Ora il disco verrà distribuito in Europa dalla Southern e forse, dopo questo tour con gli Ex, anche dalla Konkurrent. C’è stato pure un interessamento della Cuneiform per venderne qualche copia anche negli U.S.A.
Vi indico il nome di alcuni musicisti che ritengo fondamentali per la vostra storia: Jad Fair...
M: Più che con lui siamo rimasti in contatto con il batterista Gilles Rider, colui che nel gruppo più coltiva l’etica dello scambio continuo... Abbiamo partecipato all’album tributo ad Half Japanese con un pezzo del nostro primissimo repertorio (ancora cantato).
Chadbourne...
M: Ci mandiamo almeno due e-mail al giorno in cui lui ci indica i progetti nella cucina italiana e noi rispondiamo chiamandolo Ozzy Osbourne... E’ una di quelle persone che ti apre il cervello, lui che a cinquant’anni viene con noi in saletta a registrare un disco in due giorni, non pagato... Io che lo porto lì in motorino e lo sostento a pizza bianca e vino... Lì apprezzi l’apertura e lo spirito...
Ex...
M: Sei giorni sono stati sufficienti a istaurare un rapporto profondo. Mi sento arrichito da quest’esperienza. In loro vedo una forza di volontà pazzesca, l’autoproduzione, la Konkurrent, distribuzione che in Europa è la principale per un certo tipo di cose. Sono un esempio enorme per come devi comportarti nel mondo musicale.
L: Una delle cose più belle del tour con gli Ex era la possibilità di vedere come le cose che suonavamo cambiavano di sera in sera attraverso l’intrusione o l’esclusione di nuovi elementi e come la materia cominciava a mutare anche con spirito ludico, per cui alla fine riuscivamo a giocare con i pezzi, a trovare nuove soluzioni...
M: E’ stato un po’ come percorrere tutti i giorni la stessa strada notando sempre particolari diversi. Sapevamo che suonando con gli Ex ci saremmo proposti a molta più gente del solito ed è andata meglio di quanto immaginavamo, sentivamo l’attenzione, la sorpresa, l’apertura e il rispetto.
Collaborazioni che non avete mai avuto ma che invece vorreste tanto avere?
M: Roy è stato invitato per le nuove sessions di Ex ed Icp Orchestra... Il problema è che all’interno del gruppo ci sono interessi che fra di loro cozzano incredibilmente, le musiche con cui siamo cresciuti sono all’opposto, io con i Crass e Roy con Miles Davis... Non c’è una cosa in particolare che sia in grado di attrarci tutti all’unanimità... Forse nel mio caso i Ruins sono stati molto importanti, anche i Naked City, perché hanno rappresentato il superamento estetico di certe barriere... Allora cerchi di assorbire, di studiare quello che fanno... Confrontarsi con una voce sarebbe interessante, forse Jello Biafra...
Avete parecchio materiale registrato che ha potenzialità di pubblicazione...
M: A gennaio esce il disco con Chadbourne su Robi Droli. Ci piace la storia di quest’etichetta, partire dalla world music per poi pubblicare Glenn Branca e ai dischi della Ictus. Amy Denio pare che abbia trovato una label americana disposta a pubblicare la collaborazione con lei. Fra un mese uscirà su Flop Records un 7” split con i Ruins e in seguito un altro split 7” su Pandemonium. Ci hanno chiesto con chi vorremmo dividere il disco: a me piacerebbero i Laddio Boloko che fanno una musica diversa dalla nostra, perché per Zu è importante il cambio continuo, la ricerca ritmica ad incastro mentre loro girano in loop su una cosa e la fanno crescere progressivamente, ma sento comunque che fra noi ci sono grosse affinità.
Poi ci sono le registrazioni con Metazu, Zu e Metaxu insieme, un gruppo d’ improvvisazione con forti componenti elettroniche, con loro abbiamo fatto qualche live ed alcune registrazioni... E’ un progetto interessante in cui noi incidiamo del materiale che poi Maurizio Martuscello (membro del gruppo Ossatura) scompone e ricompone un po’ alla maniera di Jim O’Rourke in Rien dei Faust. E’ buona l’idea che un compositore elettroacustico sia alle prese non con suoni concreti ma con una materia più rock.
Pensate che attualmente vi sia un suono di riferimento che abbia effetto trainante e sia di stimolo?
L: Credo che in questo momento si stiano avvicinando sonorità e stili fra loro molto diversi. Penso che la dissonanza stia piano piano entrando nella melodia, per cui formule sonore che riteniamo oggi quasi scontate solo dieci anni fa avrebbero potuto dar fastidio alle orecchie... Anche noi a volte ci sorprendiamo di come la nostra musica possa suscitare interesse in audiences abbastanza estese...
M: A me piace che non ci sia alcuna tendenza trainante. Mi ha fatto paura negli ultimi due anni la supremazia del cosiddetto post-rock, ma ora sono di nuovo tutti pronti a cercare un’ altra strada.
Credete che sia finalmente sopraggiunta l’era della maturazione definitiva per molti gruppi italiani o, ancor più nello specifico romani, che si confrontano con musiche “non ortodosse”? Avete relazioni con altre bands della capitale?
L: Troviamo già grandi difficoltà nel coordinare i nostri pensieri, anche se siamo sempre pronti a proporre nuovi spunti. Personalmente non individuo una “scena romana”.
M: Cerchiamo di coltivare gli scambi, per esempio con gli Ex ci siamo detti “le musiche non c’entrano niente, è importante che si stia facendo questa cosa insieme”. Siamo sempre molto propositivi, tentiamo di mettere a disposizione di chiunque la nostre poche esperienze... Quando siamo andati a suonare a Torino ho chiamato gli Anatrofobia, in Francia incontreremo altri gruppi... Ci piace recepire la sensibilità degli artisti con cui collaboriamo, come abbiamo fatto con Chadbourne o Amy Denio. Il suono muta radicalmente a seconda dell’interlocutore: con Amy sono stati registrati alcuni brani con la fisarmonica che hanno quasi delle assonanze con Threadgill, armonie composte e particolari. Ma non c’è intenzione, solo casualità. Cerchiamo di non considerarci come degli “intellettuali” che appartengono a un’elite, suoniamo un rock’n’roll impazzito che riflette le giornate che viviamo. Penso che sia anche importante l’attitudine con cui ti presenti sul palco: sei consapevole di fare una cosa ostica ma la proponi con naturalezza.

[pubblicato su Blow Up #19, Dicembre 1999]
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