Diaframma
Diaframma
Autore: Paolo Bertoni
 
PREZZO: 13,00€
Diaframma

Diaframma. I desideri se dormono è per qualche ora
Director's Cut #32 (ottobre 2023) • 116 pagine b/n • 13,00 euro

Diaframma presto divenne solo Federico Fiumani, che aveva già descritto il malessere della generazione post-punk, dando lirica voce ad una complessa sintesi tra sofferto elogio della solitudine e smaccata esibizione del sé interiore. Da quell’abbrivio ha seguito un filo esistenziale tenuto teso dalla volontà di non dichiarare resa, preservando intatte, nella sua indipendenza, coerenza, fierezza e tenacia, armato di un autobiografismo che suscita forte identificazione in chi spesso sente, per le sue debolezze, di somigliargli. Quarant’anni dal singolo Pioggia, periodiche crisi vissute senza mai dimenticare che omologarsi non è la cura, da tempo gli è stata riconosciuta una peculiare interpretazione della canzone d’autore, con la sua scrittura nervosa da cui non si attendono evoluzioni, in cui la memoria delle proprie emozioni, pur onnipresente, non lascia che la malinconia prenda il sopravvento e l’amore, dall’idealizzato al carnale, dà significato al vivere ancor più dell’arte.

Paolo Bertoni (Roma, 1964) scrive di musica dalla seconda metà degli anni ’80. È firma storica di Blow Up, nel cui staff è dal primo numero della rivista (1997). Per Tuttle Edizioni ha pubblicato libri su Einstürzende Neubauten (“Un nuovo sole (che bruci più di quanto illumini)”, 2017), Swans (“L’universale vuoto”, 2019), Coil (“Arcangeli del Caos”, 2020), Clock DVA/T.A.G.C. (“Sogni sepolti”, 2022). “I desideri se dormono è per qualche ora” è il suo ultimo libro.


[di seguito un estratto dal capitolo “Anni luce”, Abraxas, 1992]

[...] Con l’ennesima variazione nella line-up, con Valter Poli al basso e Alessio Riccio alla batteria, con Riccardo Onori che appare come ospite alla chitarra in un paio di brani ma poi rimane in formazione, che diventa così un quartetto, si registra un auspicato riapprodo alle sponde dell’indipendenza, tipi Abraxas e distribuzione Self, sancito dall’ottimo “Anni luce” (’92), senza troppo rimuginare sull’angosciante parentesi con il mondo major. Anzi, la copertina, che replica quella di “The Freewheelin’ Bob Dylan” del ’63, per quanto possibile nelle posture e nei vestiti, non è un omaggio a Dylan, che Federico non apprezza più di tanto, piuttosto è così concepita per l’idea che trasmette di un momento felice, seppur, per la cronaca, con la ragazza, Nadia, che Fiumani ha sottobraccio, era finita. Felicità, questa volta meno fugace, di essere riuscito a riemergere in un periodo di ispirazione azzerata a seguito della delusione avuta alla Ricordi. Per la verità era riaffiorato il dubbio di lasciar perdere, lo psicologo gli consigliò di scrivere lo stesso, anche in, evidentemente solo apparente, assenza di ispirazione. Per la prima volta nella sua vita si impone regole da impiegato, otto ore al giorno fino a che l’album non prende forma, a motivarlo anche il ritagliarsi spazio in un periodo in cui posse e rap italiano, più o meno militanti, riscuotono smodata risonanza sui giornali, col messaggio, non strisciante, che ciò che è stato nel decennio precedente è oramai antiquato. Il risultato lo consola e lo rilancia, appaga constatare che quelle canzoni, ancorché vergate, secondo lui, senza estro creativo, abbiano incontrato il favore di tanti che non se ne sono accorti, in primis me che nella recensione dell’epoca parlo di ‘un’ispirazione poetica assai elevata’. Il CD vende quanto “In perfetta solitudine”, già mentre si avvicina all’uscita del disco fa una trentina di date in sei mesi. Suono più genuino e caldo, ennesima prova del chiaroscurale umore compositivo di Federico, ora irrorato di chitarre tonanti, ora adagiato con levità su brani dalla dominante acustica che alla tradizione del nostro cantautorato occhieggiano con disinvoltura e senza soggezione. Il piglio aggressivo di Un’altra volta, a conferma della persistenza dell’attitudine punk del nostro, si rifrange nella semplicità di una ballata come Pasqua, con molti dei brani che, al loro interno, respirano di questa risolta conflittualità. Sotto l’aspetto delle liriche è forse l’album più vario del primo decennio di Diaframma, giostrando vertiginosamente su un equilibrio mai messo in discussione tra nostalgia, romanticismo, ricordo, disillusione e senso del presente non scevro da sprazzi di radiosità, nella consapevolezza ormai acquisita che si possa ‘un giorno piangere le lacrime del mondo e nell’altro sorridere’, come dice un verso di Romantico, senza più torturarsi sui perché. L’odore delle rose e la travolgente Le Alpi sono i pezzi di maggior presa, il primo elaborante il concetto secondo cui conoscere l’origine di certe percezioni potrebbe sminuirne l’intensità [...]
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