Tales From Oz
Tales from oz
Autore: Roberto CalabṛPREZZO: 15,00€

Tales From Oz: dischi e leggende del rock australiano
Director's Cut #40 (ottobre 2025) • 164 pagine b/n • 15,00 euro
► A metà degli anni Ottanta l’Australia divenne la terra promessa di ogni appassionato di rock alternativo. Garage, power pop, psichedelia, punk-blues, fantastico rock’n’roll chitarristico: tutto ciò che poteva accendere l’immaginario di chi era immerso nei meandri dell’underground arrivava da quella terra immensa, lontana e misteriosa. “Tales From Oz” ripercorre la storia della scena rock dei nostri antipodi sin dagli anni Sessanta, passando per il punk e il post-punk, soffermandosi sull'esplosione internazionale degli anni ‘80 e raccontando ciò che accadde nei due decenni successivi, quando l'attenzione di stampa e pubblico si spostò colpevolmente altrove. Perché, nonostante tutto, la terra dei canguri non ha mai smesso di produrre grandi band e dischi fantastici. Sino ai nostri giorni.
► Roberto Calabrò è nato a Reggio Calabria nel 1971. Dalla fine degli anni Ottanta si occupa di musica e cultura underground. Ha scritto per L’Espresso e La Repubblica, collabora con il Venerdì, la rivista inglese Shindig! e il mensile spagnolo Ruta 66. È autore di Queens Of The Stone Age. Il suono del deserto (Arcana, 2004), Eighties Colours. Garage, beat e psichedelia nell’Italia degli anni Ottanta (Coniglio, 2010; Odoya 2025), Madrid & Barcellona. Guida Rock (Arcana, 2014), Radio Birdman. Il rito del suono selvaggio (Tuttle, 2018), Ramones. Gang of New York (Tuttle, 2020), MC5. Future/Now (Tuttle, 2022), Rolling Stones: Exile On Main St. (Cometa Rossa, 2022), Fugazi. Committed To Excellence (Tuttle, 2023). Scrive su Blow Up dal 2010.
[di seguito l'Iintroduzione]
C’è stato un tempo in cui la scena più cool del panorama alternativo internazionale era l’Aussie rock: improvvisamente alla metà degli anni Ottanta l’Australia divenne la terra promessa di ogni appassionato di rock alternativo. Garage, power pop, psichedelia, punk-blues, fantastico rock’n’roll chitarristico: tutto ciò che poteva accendere l’immaginario di chi era immerso nei meandri dell’underground arrivava da quella terra immensa, lontana e misteriosa. Gruppi dai nomi improbabili e affascinanti, etichette che sfornavano in continuazione 45 giri, EP e album di una bellezza indicibile. Tutto ciò contribuì a creare un alone di leggenda attorno alle produzioni del rock dei nostri antipodi. Andando a ritroso non è difficile individuare l’epicentro che diede vita a quel sisma musicale. Tutte le piste portano a un solo nome: Radio Birdman. Fu infatti il leggendario gruppo di Sydney, guidato dal carismatico Rob Younger alla voce e dallo strepitoso chitarrista americano Deniz Tek, a rivoluzionare completamente le sorti del rock nella terra dei canguri a metà anni Settanta, gettando le basi per la successiva esplosione dell’Aussie rock nel decennio successivo. Non solo per la conturbante miscela sonora del gruppo, figlia tanto del proto-punk dei numi tutelari Stooges e MC5 (“I saw the Stooges and the MC5 / Drove themselves insane alive” cantava Younger in Do The Pop) quanto del Sixties garage e del surf. Ma anche per l’impatto estetico e attitudinale con cui i Birdman scardinarono la stantia scena musicale australiana che, nei primi Seventies, era composta prevalentemente da insulse cover band e gruppi hard rock.
È John Needham, fondatore della Citadel Records e amico di lunga data della formazione di Sydney, a sottolineare il ruolo chiave giocato dalla band nelle vicende del rock locale: «I Radio Birdman sono così importanti per la storia della musica australiana perché hanno dato l’esempio. Si sono confrontati e hanno spazzato via la facciata dell’industria musicale cambiando per sempre le cose, aprendo delle porte e creando nuove opportunità per coloro che li hanno seguiti. Hanno influenzato una generazione di musicisti negli anni Ottanta, specialmente a Sydney. Il loro esempio ha fatto sì che un mucchio di ragazzi prendessero gli strumenti e formassero una band».
Effettivamente l’arrivo dei Radio Birdman sulla scena ebbe lo stesso effetto di un tornado. Dopo di loro nulla fu più come prima e i germi della rivoluzione punk presenti in molte città australiane - da Sydney a Perth passando per Brisbane e Melbourne - esplosero rapidamente: gruppi come Victims, Fun Things, Chosen Few (che proprio a Deniz Tek dedicarono l’urticante Disco Tek Wreck), Thought Criminals, Psycho Surgeons, Rocks, Babeez, Leftovers, Razar, X diedero vita a una scena vibrante.
Reunion a parte, la parabola dei Radio Birdman si consumò nel volgere di appena cinque stagioni, dal 1974 al 1978. Le torride apparizioni dal vivo, un impatto estetico fantastico (dal logo stilizzato ai poster d’impronta militare fino alle divise utilizzate sul palco) e una manciata di dischi epocali bastarono al sestetto di Sydney per lasciare un segno indelebile. E per diventare un nome di culto, con un piccolo ma solidissimo seguito di fan, non solo in madre patria ma anche nel resto del pianeta. L’altra stella di prima grandezza del punk australiano è quella dei Saints. Provenienti da Brisbane e considerati, a torto o a ragione, i rivali dei Birdman, i quattro guidati da Chris Bailey alla voce e da Ed Kuepper alla chitarra esordirono nel settembre del 1976 con l’epocale singolo (I’m) Stranded, un classico del punk mondiale. Come pure è un classico il primo album, uscito appena un anno dopo e intitolato alla stessa maniera: una manciata di canzoni rabbiose in cui l’urgenza espressiva del quartetto trovava la sua perfetta definizione in un rock’n’roll minimale, urticante e ispirato. Dopo un altro 33 giri eccellente, “Eternally Yours” (1978), in cui il punk virava verso il R&B, e un terzo prescindibile LP (“Prehistoric Sounds”), la band si sciolse. Negli anni a venire la sigla Saints sarà utilizzata da Chris Bailey, ma non si tratterà più dello stesso gruppo.
Stranamente fu il Regno Unito a segnare le sorti dei due principali gruppi australiani. Dalle ceneri dei Radio Birdman – che si erano separati nel 1978 mentre la band si trovava in Inghilterra per la sua prima tournée europea e per registrare il secondo album “Living Eyes”, che uscirà postumo nel 1981 – nacquero una serie di gruppi legati in un modo o nell’altro a quella seminale formazione. Una volta rientrati in patria, Deniz Tek diede vita ai Visitors assieme al tastierista Pip Hoyle e al batterista Ron Keeley, Rob Younger formò prima gli estemporanei Other Side e poi i fenomenali New Christs, il chitarrista Chris Masuak e il bassista Warwick Gilbert si unirono agli Hitmen di Johnny Kannis. Ancora una volta il contributo degli ormai ex Radio Birdman alla scena underground fu decisivo. Accanto a loro, negli stessi anni e in quelli immediatamente successivi, fu un tutto fiorire di gruppi, di incroci di musicisti, di situazioni creative che diedero nuova linfa vitale al rock’n’roll australiano. Grazie anche al supporto di alcune piccole ma agguerrite etichette indipendenti: a Sydney la Citadel di John Needham, la Phantom di Jules Normington, la Waterfront di Steve Stavrakis e Chris Dunn, la Hot con uffici anche in Inghilterra; a Melbourne la Au Go Go di Bruce Milne e Philip Morland (e dal 1982, Greta Moon); ad Adelaide la Greasy Pop di Doug Thomas. Per cinque-sei anni, fino alla seconda metà degli Ottanta, dall’Australia arrivarono bordate di rock’n’roll favoloso e ispirato, declinato nelle sue forme più disparate.
È sempre John Needham, uno degli artefici di quella felice stagione creativa con la sua Citadel, a ricordare: «È stato qualcosa di magico il modo in cui tutta quella musica appariva e mi finiva addosso. Quando ci fu quell’esplosione l’Europa venne invasa dalla migliore musica alternativa australiana che, per un certo periodo, andò per la maggiore e vendette anche bene».
Sul declinare degli anni Ottanta, però, un nuovo vento iniziò a soffiare dal nord-ovest degli Stati Uniti: quello che nel giro di qualche stagione verrà conosciuto come grunge. Improvvisamente i riflettori puntarono verso Seattle e l’Australia finì in un cono d’ombra. Un vero peccato perché la scena dei nostri antipodi continuò a produrre musica eccellente per tutto il nuovo decennio e oltre. Ovviamente l’influenza delle nuove sonorità provenienti dagli States si fece sentire: oltre a farsi crescere i capelli e indossare camicie di flanella, molti musicisti australiani iniziarono a suonare un rock molto più pesante e distorto, dai Bored!, la cui dissoluzione darà vita ai devastanti Powder Monkeys, passando per i Tumbleweed (sorti dalle ceneri dei seminali Proton Energy Pills) e Hoss, fino a gruppi hi-energy rock’n’ roll influenzati dall’asse Detroit-Sydney quali i formidabili Brother Brick e Asteroid B-612. Ovviamente non potevano mancare band di chiara ispirazione power pop in cui capitava di incrociare nomi che avevano lasciato un segno importante nel decennio precedente, dai DM3 di Dom Mariani ai Challenger 7 dell’ex Kryptonics Ian Underwood. All’orizzonte apparvero nuove etichette indipendenti nate per supportare la scena: la Dog Meat di David Laing, la Corduroy di Nicky Phillips (musicista attivo con Puritans, Breadmakers e Shutdown 66), la Full Toss, la Tomboy, più avanti anche la Off The Hip, nata come costola dell’omonima fanzine di Mickster Baty, già batterista di Pyramidiacs e Finkers, o la Laughing Outlaw. Anche il nuovo millennio non lesinerà grandi gruppi e splendidi dischi, a testimonianza di un fermento creativo incurante della ridotta copertura mediatica e del declinante interesse del pubblico nei confronti dell’Aussie rock, in particolare da questa parte del globo.
Lungi da ogni pretesa di completezza, “Tales From Oz” vuole celebrare l’età dell’oro del rock australiano provando a far rivivere, anche solo per un attimo, l’eccitazione di scoprire ogni giorno un nuovo disco e una nuova band: tessere scintillanti di un mosaico composito e multicolore che pareva non dovesse finire mai.
TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000