Ingeborg Bachmann
Ingeborg Bachmann
di Matteo Moca
Per raccontare la storia della scrittrice austriaca Ingeborg Bachmann non è necessario partire dall'inizio perché tanto inafferrabile è il filo della sua vita e della sua opera, che qualsiasi valutazione oggettiva di ciò che ha fatto o ha scritto lascia il tempo che trova. Allora si può partire anche dalla fine, dal 17 ottobre del 1973 quando Bachmann, ricoverata nel reparto grandi ustionati Sant'Eugenio di Roma, muore nella sua camera d'albergo. Qualche settimana prima, mentre era nella sua casa a Roma, in maniera misteriosa (probabilmente una vestaglia in nylon che prende fuoco dalla cenere di una sigaretta), Bachmann rimane vittima di un incendio le cui conseguenze, lentamente, la portano alla morte. Una delle amiche più strette di Bachmann, che è stata al suo capezzale fino all'ultimo istante («Ogni giorno andavo al Sant’Eugenio, reparto grandi ustionati. Due volte entrai in una stanza che doveva essere asettica»), è stata la scrittrice Fleur Jaeggy (sarà la stessa Bachmann a firmare la quarta di copertina del suo primo romanzo per Adelphi), due donne legate da un rapporto di consonanza che oltrepassa il semplice accostamento di anime e che sembra invece lanciarsi in uno spazio altro dove i legami non possono essere definiti. Fleur Jaeggy, in un brevissimo e denso racconto raccolto in Sono il fratello di XX, descrive questa lunga amicizia, ma lo fa mettendo in luce uno dei caratteri più importanti dell'opera di Bachmann, il tempo, quello che passa dell'età che corre in avanti, ma anche quello assoluto in cui l'esistenza umana, come un puntino, si dimena in avanti senza cambiare nulla nell'equilibrio dell'universo: «Una volta con Ingeborg parlammo della vecchiaia, lei sorrideva a quella parola, ma quella parola non era accompagnata né dal cuore né da un vero sorriso. Immaginavo una longevità senza morte, una casa di campagna, un muro, le descrivevo l’architettura esterna e la legavo con una corda. E un giardino tra le mura e ancora le dicevo noi due. Ero terribilmente convinta. La caparbia convinzione in ciò che non si avvera». Il racconto immagina un futuro in cui le due amiche, quando saranno «vecchie», vivranno insieme in una casa con un grande giardino, con Jaeggy che cerca di convincere della bontà dell'idea l'amica, ma Bachmann invece sembra già in immersa in un orizzonte temporale diverso, non accordato con quello di Jaeggy: «“Non vuoi che andiamo a vivere insieme quando saremo vecchie?”. Insistevo. Allora Ingeborg (credo per compiacermi) assentiva. Ma lo faceva come se non prevedesse un futuro. Io non parlavo di vecchiaia come futuro, piuttosto come una premonizione, una paura… La vecchiaia, disse, è orribile. Ma tutto è orribile, le dicevo. Con una specie di allegria. Tentavo di convincerla che tutto è davvero orribile (a quel tempo le nostre vite non erano affatto male) e non per finta. Allora i suoi occhi irradiavano felicità, e passarono gli anni». […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000