John Crowley
John Crowley
di Fabio Zucchella

“Ultimamente nel mondo succedono cose molto strane”
(Little, Big)

Pare che alla Bantam, la casa editrice americana che pubblicò Little, Big nel 1981, qualcuno abbia sentenziato: «se mettiamo la parola ‘Fate’ in copertina possiamo anche buttare il libro nel cesso». Difatti la parola tabù è slittata nel sottotitolo del romanzo, “L’assemblea delle fate”. È lo stesso John Crowley a fornirci un’indicazione: «Marianne Moore definiva le poesie come ‘giardini immaginari con dentro rospi veri’; io invece ho pensato di provare a creare un giardino immaginario che contenesse delle vere fate». Perché (anche) questo troviamo in Little, Big: fate, appunto, e poi elfi, animali parlanti, alberi-locusta, imperatori risorti, carte divinatorie, dimore fantastiche, changeling, nonni-trota. A prima vista, insomma, il consueto armamentario del fantasy più innocuo e stucchevole. Cioè di un genere fin troppo “popolare”, escapista quando non reazionario. John Crowley, però, trasforma certe inevitabili banalità nel Sublime, con lui il fantastico (considerato nella sua accezione più ampia) vuole imporsi come forma di narrazione sofisticata e anche sovversiva. Lo schivo Crowley (1941), che in passato è stato anche insegnante di scrittura creativa e “utopian fiction” a Yale, non è – o non dovrebbe essere – del tutto sconosciuto al lettore italiano. Si era fatto notare per tre romanzi degli anni ’70 in cui la singolare commistione tra fantascienza, fantasy e narrativa speculativa era sostanziata da una qualità di scrittura a dir poco inconsueta per il genere. Tant’è vero che …E la bestia sorse dall’abisso, Faccia di bestia e La città dell’estate furono pressoché ignorati anche dai lettori più specializzati: troppo poco “avventurosi”, troppo “colti”? Poi, all’inizio del nuovo millennio, un lieve – e decisamente inatteso – sussulto di notorietà grazie a due libri mainstream come La traduttrice (che nel 2003 gli valse il premio Flaiano) e il successivo La terra della sera. Dopodiché il nome di Crowley se n’è tornato nelle retrovie di un seguito a dir poco minoritario. Certo, la schiera degli ammiratori ben più che qualificati non manca (tra gli altri: Ursula K. Le Guin, Michael Chabon, Neil Gaiman), fatto sta che i lettori del fantasy tradizionale sono quanto meno disorientati, quelli di narrativa “seria” (oops), invece, scoraggiati dall’assenza di realismo, seppure affascinati dallo stile. Il tutto va poi inquadrato in un contesto di marginalizzazione della narrativa fantastica, di un’assenza di consenso culturale: pur essendo pubblicate da editori mainstream, al di fuori della cerchia degli studiosi specializzati le opere di Crowley hanno ricevuto scarsa attenzione critica. […]

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