RPM Lucio Dalla "Come è profondo il mare"
RPM Lucio Dalla "Come è profondo il mare"
di Girolamo Dal Maso

“Chi interroga non dà risposta, non produce risultati, ma soltanto, e se saprà con pazienza tentare e ritentare, una grande quantità di ricominciamenti”.
(Massimo Cacciari, La mente inquieta. Saggio sull’Umanesimo)

NON GLI OCCORREVA fingere di essere bambino. Certo, a vederlo quell’ometto pieno di peli – a parte la canizie incipiente, più giocosamente evidenziata che nascosta da cappelli e parrucchino – non aveva molto del bambino. Non che gli mancasse la capacità di affrontare argomenti seri o quella di muoversi con scafata disinvoltura nel mondo del business musicale. Non si tratta di questo. Neanche – a ben vedere – della capacità incredibile di reinventarsi e di battere strade nuove senza di fatto cambiare, anche se non con gli stessi risultati (io, ad esempio, inoltrandosi negli anni ’80 lo trovo sempre meno interessante; ma non è l’unico a cui sia capitata una cosa del genere, penso – per rimanere in ambito cantautorale – a Pino Daniele). In questo senso “Come è profondo il mare” è uno dei suoi tanti nuovi inizi. Questa maestria fanciulla è piuttosto una questione di sguardo e di sguardi, di una attitudine di volgersi al mondo non senza filtri ma facendo propri questi filtri, come se fossero qualcosa di naturale o di innato. Così, si sente che le canzoni sono sue non solo per le linee melodiche o i giri di accordi, e neanche solo per la voce. Piuttosto per il suo modo di cantare, di usare la sua voce; più che il suo tono è decisivo il suo incedere, il suo discorrere, una cadenza in cui c’è tutto di lui e che è solo sua. Questa voce sono i suoi occhi. Gli occhi con cui guarda il mondo sono gli stessi con cui noi guardiamo a lui. Uno sguardo che interroga il mondo, stupito, senza cercare risposte, se non il vagabondare di questo stesso sguardo.
Dovendo scegliere un disco su cui scrivere qualche riga in occasione del mancato ottantesimo compleanno, la scelta è caduta proprio su quello del 1977. In realtà dalla trilogia con Roversi fino al Q Disc (che potrebbe essere considerata l’escrescenza finale di un’altra trilogia) sarebbero potuti andare bene tutti. Si riparte, quindi. Non è la prima volta che Dalla si mette in gioco personalmente. Basta pensare a 4/3/1943 che, guarda caso, ha a che fare proprio con la nascita, con una vita che comincia e quanto segue. Ma questa volta, per la prima volta, nasce un disco tutto suo, musica e parole. Un eterno principiante, Lucio Dalla, non nel senso di mancanza di professionalità, ma in quello di mettersi sempre nella condizione di iniziare qualcosa, come un bimbo – appunto – che si lanci in una sempre nuova avventura, in fondo sempre la stessa. Questo stupore, forse ingenuo ma intelligente, curioso e spavaldo, ma anche tanto tenero, di chi si sta costruendo il suo giocattolo, montando e smontando i pezzi, completamente assorto nella pratica compositiva, dimentico del resto, se non per uno sguardo fintamente distratto e sbadato che, quasi di traverso, non si lascia scappare nulla di quanto gli capita attorno; lo sguardo stupito di chi sa che il gioco va preso seriamente. Questa è, per me, la poesia di “Come è profondo il mare”. Un flusso di parole e di suoni che, nonostante lo spirito fanciullo a cui accennavo, sa già di maturità e consapevolezza. La pienezza matura della forma si combina quasi d’incanto con la freschezza inventiva che la genera. Chissà perché mi torna ora alla mente la copertina del disco d’esordio dei Violent Femmes, con quella bianca, candida bambina curiosa tutta protesa a sbirciare dal vetro della casa. […]

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