The Electronic Sound Of Persia
The Electronic Sound Of Persia
di Antonio Ciarletta
[nell'immagine: Ava Rasti, dal sito della FatCat]
"La realtà è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci"
Philip K. Dick
DAL PUNTO di osservazione delle democrazie occidentali l'Iran appare come un paese a dir poco problematico. La rivoluzione politica che alla fine degli anni Settanta portò al potere l'Āyatollāh al-ʿUẓma Ruhollah Mosavi Khomeyni, esponente di riferimento della gerarchia clericale sciita, pose le basi per l'instaurazione della Repubblica Islamica, un sistema duale incardinato sulla compresenza di organi a legittimazione religiosa e di organi a legittimazione popolare. Di fatto una forma teocratica di governo, dove le candidature presidenziali erano soggette al vaglio del Consiglio dei Guardiani, un organismo costituzionale composto da sei figure teologiche e da altrettante figure giuridiche. Da allora non è cambiato granché. Monitorato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, oggi sotto la Guida Suprema dell'Āyatollāh Ali Khamenei, l'Iran è considerato un paese del tutto estraneo alle logiche democratiche. Un'organizzazione statuale caratterizzata dalla subordinazione delle autorità civili alle cariche religiose, in cui i diritti fondamentali sono continuamente calpestati: torture, lapidazioni, sparizioni forzate, restrizioni della libertà di espressione, discriminazioni contro le donne ed emarginazione delle minoranze etnico-religiose i capi d'accusa più pesanti.
La musica ha in qualche modo assecondato i sommovimenti politici del paese. Pervaso dal retaggio della musiqi-e assil, che cominciò a svilupparsi dopo la conquista islamica della Persia, avvenuta tra il 633 e il 644, e che negli anni Venti del secolo scorso ebbe una grande diffusione popolare grazie al supporto della dinastia Pahlavi, l'Iran tentò di svecchiare la sua cultura musicale con l'introduzione del jazz; esponente di punta del “jazz iraniano”, intorno alla metà degli anni Cinquanta, l'attore e cantante pop Viguen Derderian. Sono però i Sixties e i Seventies a impartire una svolta decisiva alla modernità del paese. Il pop e il Rocka red, come viene appellato di sovente il rock iraniano, fecero propri i codici della british invasion, in special modo gli stilemi di formazioni come Beatles, Dave Clark Five e poco più tardi Pink Floyd, per contaminarli con i ritmi della musica tradizionale persiana. I precursori Farhad Mehrad, Black Cats e Kourosh Yaghmaei spopolavano nei nightclub di Teheran e Abadan. […]
…segue per 6 pagine nel numero 326-327 di Blow Up, luglio-agosto 2025: NUMERO DOPPIO DI 148 PAGINE!
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Ogni mese Blow Up propone monografie, interviste, articoli, indagini e riflessioni su dischi, libri, film, musicisti, autori letterari e cinematografici scritti dalle migliori penne della critica italiana.

"La realtà è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci"
Philip K. Dick
DAL PUNTO di osservazione delle democrazie occidentali l'Iran appare come un paese a dir poco problematico. La rivoluzione politica che alla fine degli anni Settanta portò al potere l'Āyatollāh al-ʿUẓma Ruhollah Mosavi Khomeyni, esponente di riferimento della gerarchia clericale sciita, pose le basi per l'instaurazione della Repubblica Islamica, un sistema duale incardinato sulla compresenza di organi a legittimazione religiosa e di organi a legittimazione popolare. Di fatto una forma teocratica di governo, dove le candidature presidenziali erano soggette al vaglio del Consiglio dei Guardiani, un organismo costituzionale composto da sei figure teologiche e da altrettante figure giuridiche. Da allora non è cambiato granché. Monitorato dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, oggi sotto la Guida Suprema dell'Āyatollāh Ali Khamenei, l'Iran è considerato un paese del tutto estraneo alle logiche democratiche. Un'organizzazione statuale caratterizzata dalla subordinazione delle autorità civili alle cariche religiose, in cui i diritti fondamentali sono continuamente calpestati: torture, lapidazioni, sparizioni forzate, restrizioni della libertà di espressione, discriminazioni contro le donne ed emarginazione delle minoranze etnico-religiose i capi d'accusa più pesanti.
La musica ha in qualche modo assecondato i sommovimenti politici del paese. Pervaso dal retaggio della musiqi-e assil, che cominciò a svilupparsi dopo la conquista islamica della Persia, avvenuta tra il 633 e il 644, e che negli anni Venti del secolo scorso ebbe una grande diffusione popolare grazie al supporto della dinastia Pahlavi, l'Iran tentò di svecchiare la sua cultura musicale con l'introduzione del jazz; esponente di punta del “jazz iraniano”, intorno alla metà degli anni Cinquanta, l'attore e cantante pop Viguen Derderian. Sono però i Sixties e i Seventies a impartire una svolta decisiva alla modernità del paese. Il pop e il Rocka red, come viene appellato di sovente il rock iraniano, fecero propri i codici della british invasion, in special modo gli stilemi di formazioni come Beatles, Dave Clark Five e poco più tardi Pink Floyd, per contaminarli con i ritmi della musica tradizionale persiana. I precursori Farhad Mehrad, Black Cats e Kourosh Yaghmaei spopolavano nei nightclub di Teheran e Abadan. […]
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TUTTLE Edizioni - P.iva 01637420512 - iscrizione rea n. 127533 del 14 Gennaio 2000